Politica scolastica

D’Errico (Unicobas): i nostri docenti ridotti a impiegati sottopagati, rialzate la testa [INTERVISTA]

Insegnanti sempre più impiegatizzati, stipendi da fame ed un nuovo contratto paurosamente modesto: per Stefano d’Errico, storico condottiero degli Unicobas, l’ultima legislatura ha ridotto ulteriormente l’autorevolezza della figura di chi spiega da dietro la cattedra.

Se ne parlerà tra alcuni giorni, il 16 febbraio, al Liceo Classico ‘Mamiani’ di Roma, nel corso del convegno formativo “La Scuola nel cuore” (organizzato da Unicobas e da AltraScuola), incentrato sulle questioni che interessano da vicino sia la qualità della Scuola e la valutazione di alunni e studenti, sia la qualità e l’attenzione alla funzione docente intesa come funzione professionale.

 

D’Errico, i docenti italiani sono adeguatamente rappresentati a livello sindacale?

Non direi. Oggi la categoria è priva di rappresentanza adeguata sia sotto il profilo deontologico specifico, per la totale mancanza di rispetto dell’autonomia e del vincolo costituzionale della libertà d’insegnamento dovuto a 30 anni di controriforme, che per l’inadeguatezza pan-impiegatizia dei sindacati tradizionali, ai quali la casta politica ha accordato l’esercizio di una vera e propria dittatura in termini dell’esercizio elementare dei diritti sindacali (negati a qualsiasi nuovo soggetto organizzato).

 

Quindi, secondo lei il personale della scuola ha addirittura arretrato sul fronte dei diritti?

Quello cui abbiamo assistito negli ultimi decenni è un intreccio che ha stritolato la Scuola. Da una parte gli insegnanti sono stati resi meri esecutori di una valutazione di regime basata sui diktat degli speculatori della UE, con la vergogna didascalica dei quiz Invalsi imposta ad alunni e studenti, con l’aberrante didattica delle ‘competenze’ e la contestuale eliminazione delle conoscenze e dei saperi critici propedeutica ad un’alternanza scuola-lavoro che è mero apprendistato per l’introiezione di attitudini meramente esecutive. Dall’altra al corpo docente ed agli Ata (che esercitano comunque forme di coadiuzione educativa), è stato negato ogni riconoscimento professionale, chiusi nella gabbia sotto-impiegatizia tracciata dal 1993 dalle norme imposte dal governo Amato alla contrattazione.

 

Il nuovo contratto è quasi in dirittura d’arrivo: è una buona o una cattiva notizia?

Decisamente cattiva. Perché la proposta contrattuale dell’Aran è inaccettabile, dopo 12 anni di blocco, a fronte di una perdita secca di almeno 15.000 euro pro-capite, destina alla scuola meno retribuita d’Europa, la miseria di circa 300 euro netti in tutto ed ‘aumenti’ pari a 75 euro lordi (40 netti medi) distribuiti nell’anno a partire (forse) da aprile. Di meno del comparto dei ministeri e circa la metà del comparto ‘sicurezza’ (che ha una vacanza contrattuale molto inferiore).

 

Parliamo di soldi: chi lavora nella scuola ne vede pochi…

Le regole imposte alla Scuola hanno corroso gli stipendi, perché impongono ‘aumenti’ adeguati al calcolo sull’inflazione ‘programmata’ che fa il Ministro dell’Economia pro-tempore, il nostro stesso datore di lavoro, con percentuali sempre ben al di sotto dell’inflazione dichiarata (dato Istat), che è già la metà di quella reale. Così, di contratto in contratto ci siamo allontanati dalla media europea, per finire ultimi. Col Dl.vo 29/93 gli scatti biennali d’anzianità che avevamo sino al 1995, sono stati prima sterilizzati su 6 e 7 anni, e poi eliminati, perché ora sono a carico dello stanziamento complessivo per il Fondo di Istituto, così, quando vengono saldati (sempre in ritardo) si riduce la retribuzione media oraria per i progetti didattici e gli straordinari Ata.

 

Rispetto a quando era studente lei, oggi nelle scuole c’è però più democrazia. O no?

Non direi. Innanzitutto sono state eliminate le elezioni per i Consigli Scolastici Provinciali e per il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione che definivano la rappresentanza sindacale di docenti ed Ata. Elezioni sostituite dalle RSU, dove il sindacalismo alternativo, frutto della revanche professionale della Scuola, è obbligato a concorrere senza liste provinciali e nazionali, dovendo presentare una lista in ognuno degli 8.400 istituti italiani ma persino senza il diritto di assemblea in orario di servizio per cercare sottoscrittori e candidature, mentre i soliti noti sono destinati a conservare all’infinito la cosiddetta ‘maggiore rappresentatività’ acquisita in 63 anni di vero e proprio incontrastato dominio di casta. Infatti, la legge Bassanini del 1997 sulla rappresentanza sindacale, con l’introduzione dell’opzione ridicola del 5% di media fra voti ed iscritti, prevede che chi possiede almeno il 10% sul totale dei sindacalizzati rimanga ‘rappresentativo’ anche a voti zero.

 

Ad aprile si rinnoveranno le Rsu d’istituto: cosa vi aspettate?

Solo la presentazione di una nostra lista nella maggior parte delle scuole può cambiare la situazione: non saranno certo le petizioni di principio (o quelle sottoscritte allegramente senza conoscenza delle norme) a restituire protagonismo alla categoria. Per questo siamo impegnati in una campagna martellante. Diciamo ad ogni collega: – Se non presenti la nostra lista non ci puoi votare. È in questo modo che restano i soliti noti, gli unici a poter venire nella tua scuola, i quali ti fanno credere che queste elezioni servano solo ad eleggere un ‘rappresentante’ non importa di quale sindacato per la trattativa di istituto, mentre invece è in gioco la rappresentanza sindacale nazionale per i prossimi 3 anni.

 

Con quali argomenti state convincendo il personale a candidarsi con voi?

Gli stiamo dicendo: rovescia il tavolo, fai quel che i sindacati di partito non vogliono, non possono impedirti di candidarti o votare una lista dell’Unicobas. Basta con i mestieranti sindacali: eleggiti. Non fare il loro gioco: eleggi colleghe e colleghi fuori dai giochi! Dopo il massacro della dignità dell’istruzione pubblica non è accettabile un’altra vittoria proprio di quelli che, di contratto in contratto, hanno portato la Scuola alla miseria economica e morale. Sindacati di stato e Ministero contano sulla paura dei pavidi, ma la paura non è accettabile in democrazia: la Scuola deve rialzare la testa.

 

Come se ne esce?

L’istruzione ha bisogno della maieutica dei Leoni, non di quella dei conigli. Di tali questioni, che definirei ‘capitali’, dibatteremo nel Convegno del 16 febbraio, anche per vedere se le forze politiche invitate, in piena campagna elettorale, per caso intendano pronunciarsi qui ed ora su queste vergogne o se preferiscano ancora, come accaduto sinora, fare di fronte alla Scuola la figura che meritano.

Alessandro Giuliani

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