Non c’è bisogno di scomodare Norberto Bobbio e il suo prezioso libro, “Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica”, per rendersi conto che anche nella gestione della scuola da parte dei Governi c’è una profonda differenza fra la destra e la sinistra.
In sintesi, nel risvolto di copertina del libro edito da Donzelli, si legge: “L’essenza più intima della distinzione consiste nel diverso atteggiamento che le due parti sistematicamente mostrano nei confronti dell’idea di eguaglianza. Naturalmente eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba neanche auspicare necessariamente la soppressione”.
Quanto vale nella scuola questo concetto? Molto, e basta vedere, per esempio, come si rivolge la destra nei confronti degli istituti partitari e nei confronti in genere della pubblica amministrazione.
Si chiama liberismo e va incontro a tutto ciò che può essere gestito dal privato, dalla sanità ai trasporti, dall’istruzione alla cultura, compresa l’abolizione del valore legale del titolo di studio che è stata una battaglia in passato della Lega Nord. La scuola non è un “ufficio di collocamento”, ripeteva Mariastella Gelmini, la ministra forzista dell’istruzione, a proposito dei supplenti che chiedevano stabilizzazione, spalleggiata dal collega del tesoro, Giulio Tremonti che, oltre a tagliare in un solo colpo 8 miliardi di euro alla scuola, precarizzando ancora e riducendo ore, dichiarava che la cultura non dà pane, che bisogna tornare al grembiule e premiare i professori migliori, concedendo solo a loro lo scatto di aumento stipendiale.
Ricordiamo, a tale proposito, la proposta, poi bocciata e ripresa, ridiscussa e abolita, del “Nuovo stato giuridico dei docenti”, i cui ruoli si dovevano frazionare per fasce.
In pratica la destra, dal suo osservatorio, parte dall’idea, ripresa anche in questi giorni, che lo Stato deve lasciare “libertà di educazione” (che è concetto vago e contraddittorio e che si deve allora applicare anche agli islamici e ai buddisti ecc., cosicchè ciascuno si fa una scuola a sua libera immagine), magari dando a ciascun alunno un voucher da spendere a proprio piacimento, optando per il pubblico o per il privato: ricchi o poveri, si scelgano la scuola da frequentare. Come si vede quel principio di uguaglianza, caro, secondo Bobbio, alla sinistra, e di pari opportunità, rischia di cadere, favorendo chi ha più soldi, a cui si danno altri soldi per frequentare una scuola privata i cui docenti, per forza di cose e per dettato ideologico di ogni istituto non pubblico, deve scegliersi il personale che essa decide: via graduatorie e via punteggi e via anche, e soprattutto, libertà di insegnamento.
È un dato di cose per il privato, altrimenti sarebbe pubblico, se decidesse per parametri oggettivi di reclutamento e selezione dei docenti.
È una visione del mondo cha ha al suo interno una logica, molto apprezzata per esempio in Usa, dove la scuola pubblica “ramazza” i poveracci, al contrario della privata, dove vanno i figlio delle classi medio-alte. Certo un ragazzo di valore sfonderà comunque, forse, ma può anche non succedere.
Se l’attuale sinistra ha, per certi versi, deluso, implementando perfino politiche di destra (vedi l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), c’è pure da dire che ha tentato, riuscendoci male, di togliere la marea dei precari che solo qualche anno addietro erano circa 250 mila.
Diciamo che non ha saputo gestire la missione che Bobbio le riconosceva, che si è impantanata fra gli scogli neo liberisti, ammiccando e blandendo politiche di destra, anche se, e mai era accaduto nella storia, ha riconosciuto un bonus di 500 euro l’anno per l’aggiornamento e l’auto aggiornamento dei prof, ha cercato di completare l’anagrafe delle scuole, si è mossa per valorizzare il ruolo degli insegnanti e ha un occhio di riguardo per l’istruzione pubblica.
Idea della sinistra dovrebbe essere appunto quella dell’obbligo scolastico fino a 18 anni, perché è la cultura e l’istruzione che rendono liberi, non solo di capire il mondo e interpretarlo, ma anche di candidarsi alla guida della Nazione, al di fuori e al di là del censo di nascita e dei livelli di ricchezza. Quanti ragazzi infatti sono costretti ad abbandonare la scuola per lavorare e portare la pagnotta a casa? La sinistra, in sintonia con Bobbio, ma anche in rispetto della Costituzione, nata dalla Resistenza, ha dunque il dovere di togliere tutti “ostacoli” per il pieno sviluppo della personalità di ogni cittadino.
Per questo la sinistra dovrebbe investire molto nella istruzione, sia per consentire a tutti i cittadini la possibilità di istruirsi e competere, sia per emancipare la società che solo con un sapere saldo può pure riuscire a creare ricchezza.
In attesa, tuttavia, delle prossime elezioni politiche, forse nel marzo del 2018, vedremo i programmi dei partiti sulla scuola e allora, nei dettagli delle proposte, capiremo ancora meglio, benchè, ma ormai lo sappiamo, mai fidarsi delle promesse dei politici che sono per lo più navi pirata, pronti all’arrembaggio delle prede facili e pure a invertire la rotta se il vento cambia.
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