Non è residuale il numero di detenuti negli istituti penitenziari che prova interesse per lo studio e la formazione: del resto, almeno in Italia è insito nella mission della detenzione il recupero dell’individuo e la sua riproposizione nella società, una volta scontata la pena.
E non va dimenticato che l’articolo 34 della Costituzione (“L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”) vale anche per chi è costretto a stare in carcere. Così, alcune migliaia di detenuti risultano iscritti ad un corso di studi che va dalla primaria alle superiori. Negli istituti penitenziari più grandi, ad esempio all’interno di Rebibbia a Roma, sono presenti delle vere e proprie scuole statali con insegnanti di ruolo e precari che si recano nelle aule dove i detenuti assistono alle lezioni. Spessissimo lo fanno anche con ottimi risultati, tanto che il condurre egregiamente gli studi a volte può essere motivo, assieme alla buona condotta, di possibili sconti di pena.
Il fenomeno non è isolato: basta dire che sono oltre 1.200 (quasi tutti uomini, tra cui una ventina in regime di 41 bis) su un totale di quasi 60mila, i detenuti ad essere iscritti ad un corso di studio universitario e a dare esami.
In generale, si legge nel rapporto Antigone, il livello di cultura dei carcerati non è bassissimo (almeno rispetto ad alcuni decenni fa): solo il 2,9% dei detenuti nel 2021 risultava analfabeta, il 2.2% non aveva un titolo di studio e appena il 17,5% era in possesso della sola licenza media.
Ad accorgersi della percentualmente interessante di detenuti che studiano in carcere è stato anche il ministero della Giustizia, che il 1° febbraio presenterà nella casa circondariale di Civitavecchia (Via Aurelia nord km 79,500, Roma), il programma “Scuola esercizio di libertà“: si tratta di un progetto che prevede oltre 1.800 ore di video-lezioni facenti capo alla serie “La Scuola in tivù”, destinati dalla Rai ai 20mila studenti detenuti presenti nei 190 istituti penitenziari italiani.
L’iniziativa, che prevede anche l’assegnazione di 400 computer alle sedi penitenziarie si basa su un preciso accordo tra il dicastero e la Rai e si inserisce nell’ambito del progetto quadro “La Cultura rompe le sbarre“, nell’ambito della Rai Per la Sostenibilità-ESG.
Alla presentazione del progetto sarà presente il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la presidente della Rai Marinella Soldi, il capo del Dap Giovanni Russo, il direttore di Rai per la Sostenibilità Roberto Natale, la direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli e la direttrice del carcere Patrizia Bravetti.
Grazie ai 400 computer, attraverso un apposito software, la Rai ha reso accessibili offline, per gli studenti detenuti che non possono accedere ad internet, il lavoro realizzato da Rai cultura per Rai scuola: le video-lezioni saranno suddivise per materie e per livelli scolastici e di apprendimento.
La presentazione dell’iniziativa si terrà in presenza fino al raggiungimento dei posti disponibili e in streaming sul sito www.rai.it/ufficiostampa.
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