Sul questionario distribuito in una scuola romana per raccogliere dati sui comportamenti degli alunni si sta scatenando la bufera.
Una delle domande chiede infatti alle famiglie di indicare “la razza o il gruppo etnico” del bambino.
Le proteste sono generalizzate a arrivano da tutte le parti.
“Chiedere a quale ‘gruppo etnico o razza’ appartiene un bambino in un questionario scolastico sui comportamenti – dichiarano per esempio i deputati del Partito Democratico eletti a Roma e nel Lazio – è inaccettabile”.
Gli stessi deputati annunciano anche la presentazione di una interrogazione parlamentare al ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, “per chiedere come sia stato possibile che un questionario contente espressioni così gravi e razziste sia stato distribuito in una scuola del nostro Paese e per evitare che una vicenda del genere possa accadere di nuovo”.
I parlamentari DEM non si accontentano neppure del chiarimento arrivato dalla dirigenza della scuola che parla di “scivolone lessicale” e rincarano la dose affermando che la spiegazione “non rende certamente meno grave l’utilizzo di queste espressioni, ma anzi ancor più odiosa perché avvenuta all’interno di una scuola. A maggior ragione dopo il recente e inequivocabile monito del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha ricordato come la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, nata ‘dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, individua la persona umana in sé, senza alcuna differenza, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza'”.
In una nota congiunta l’assessora alla scuola, formazione e lavoro di Roma Capitale, Claudia Pratelli, e l’assessora alla Scuola del Municipio II, Paola Rossi, dichiarano: “È certamente un errore il riferimento alla razza presente nel test distribuito ai genitori del Ics Borsi-Saffi, frutto della traduzione letterale dall’inglese del test standard fornito dal centro clinico Marco Aurelio. Benché il questionario abbia, infatti, lo scopo molto utile di individuare precocemente disturbi specifici dell’apprendimento tra gli alunni e le alunne, quel termine è lontano dall’idea di scuola inclusiva che stiamo portando avanti con tutti gli Istituti, compreso quello in questione. Non ci sfugge infatti che la scuola Borsi-Saffi è un esempio molto positivo di accoglienza e apertura, che è impegnata quotidianamente a favorire inclusione e rispetto. Un episodio che ci dà l’occasione perciò per constatare l’attenzione molto alta sui temi dell’inclusione, tra i cittadini e le istituzioni, e ribadire che a Roma nessuna forma di discriminazione può essere ammessa. Tanto meno a scuola”.
Critiche arrivano anche da destra: “Mi auguro che l’istituto scolastico romano che ha inserito quesiti sulla razza ai bambini chieda scusa formalmente e chiuda una pagina non troppo esaltante per il mondo della scuola” afferma Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, che aggiunge: “Mi chiedo come sia potuto venire in mente di formulare domande del genere e chi lo abbia fatto. Mi auguro che oggi stesso l’istituto chieda scusa ufficialmente a tutte le famiglie e ritiri il questionario – conclude – cancellando un comportamento poco intelligente per usare una metafora”.
La questione è molto complessa anche perché da almeno 70 anni, e cioè a partire dagli studi di genetica di Cavalli Sforza, gli studiosi si chiedono anche se davvero si possa parlare di “razze umane” da un punto di vista biologico.
La risposta ormai certa è che il termine “razza” è un costrutto sociale e culturale e non biologico. Da più parti si tende infatti a preferire parole come popolo, etnia o comunità.
Resta il fatto che l’articolo 3 della nostra Costituzione è chiaro e ci ricorda che “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua…”.
Ma cancellare la parola “razza” potrebbe in qualche modo equiparare il razzismo all'”intolleranza” e quindi sminuirne la gravità. Si potrebbe forse parlare di “etnia” anziché di “razza”: come si può comprendere il tema ha risvolti culturali e politici molto complessi e quindi non è di facile soluzione.
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