Quello del docente licenziato a Bergamo per aver presentato alla scuola una “dichiarazione falsa” non è un caso isolato. Anzi, il fenomeno è destinato a crescere.
Firmando il contratto di assunzione a tempo indeterminato o a tempo determinato, la comune supplenza, un docente, come ogni altro dipendente, è infatti chiamato a dichiarare «di non aver / aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi scritti del Casellario giudiziario ai sensi della vigente normativa».
E qui sta il punto. Perché moltissime persone barrano la dichiarazione senza pensarci troppo, incorrendo così nel reato (penale) di false dichiarazioni che comportano il licenziamento.
Questa procedura può sembrare assurda, perché astrae dal reato o dal provvedimento amministrativo, ma si tratta di una legge e non sarebbe poi così complesso prestare attenzione a cosa si firma.
È bene sapere che non conta il reato commesso, che può essere anche di lieve entità, ma il fatto di aver taciuto sulle condanne ricevute. E quindi, in buona sostanza, in questi casi, magari senza rendersene pienamente conto, si dichiara il falso. E scatta la sanzione, che può tradursi nel licenziamento.
Ma c’è dell’altro. Poiché negli ultimi anni le scuole hanno iniziato ad utilizzare la procedura informatica mediante la quale ottenere dal Tribunale in maniera massiva le certificazioni del Casellario giudiziario, i dirigenti non ricorrono più al controllo “a campione” delle dichiarazioni del personale, ma hanno la possibilità di controllare tutte le dichiarazioni.
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In tal modo, attraverso la verifica on line, le possibilità di “incrociare” molte situazioni, come quella descritta il 4 febbraio da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, crescono a dismisura. Quindi, il caso di Rho non è isolato: in molte altre città accadono. Non a caso, nella sola Bergamo, il sindacato ha contato solo negli ultimi una ventina di epiloghi del genere.
È accaduto anche a me per un contratto di un esperto. Del resto, se il dirigente non procede è lui stesso accusabile di abuso, se non di connivenza.
Quel che descrive il quotidiano nazionale, fa certo onore al collega dirigente scolastico che ha cercato di “salvare” il docente, contestandogli un semplice addebito disciplinare. Solo che, successivamente, la Corte dei Conti ha richiamato tutti al rispetto della legge: dura lex sed lex.
Il problema è che in Italia, come segnala Gian Antonio Stella, la lex a volte si applica e volte si interpreta. Altre volte si finge che non esista. Viene proprio da chiedersi: ma chi decide quando si applica e quando no?
Aluisi Tosolini è dirigente scolastico del Liceo Scientifico Statale
“Attilio Bertolucci” ad indirizzo musicale di Parma
nonché coordinatore della rete nazionale dei Licei Musicali e Coreutici
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