La didattica a distanza è uno strumento che si può certamente adottare in una situazione emergenziale, secondo schemi diversificati a seconda delle opportunità, dei mezzi disponibili, delle discipline di insegnamento, delle scelte meditate e consapevoli dei docenti (che stanno mostrando un grande senso di responsabilità e di disponibilità, purché, come impone il buonsenso prima ancora che le norme, non si pretenda di applicare diktat in contrasto con la loro libertà di insegnamento, che non è un capriccio contrattuale, ma discende direttamente dal dettato costituzionale, visto che sono proprio maestri e prof tra l’altro che conoscono meglio di chiunque altro le esigenze degli alunni della propria classe e quelle della materia insegnata). Uno strumento per non fare sentire soli i ragazzi e didatticamente utile, nell’impossibilità dell’incontro in aula, soprattutto per evitare che gli studenti dimentichino ciò che hanno già appreso, al limite con qualche approfondimento (e magari qualche passo in avanti nel programma solo per gli alunni delle quinte classi che si accingono, si spera per loro, a lasciare la scuola dopo la “maturità”, anche se non si sa ancora come sarà svolta).
Certo, qualche intervento (sulla stampa in generale) di “fughe in avanti” lo trovo inadeguato e assolutamente stonato almeno in questo momento, quando imperversa una emergenza sanitaria terribile e quando siamo arrivati al punto di non poter garantire il funerale alle persone che non ce la fanno. Invece c’è chi parla di “opportunità” per il futuro (e già pensare che un dramma sanitario ancora in corso possa essere considerato, in qualsiasi campo, una “opportunità” a me mette i brividi) ma lo stesso parlare di sperimentazione fa “alzare le antenne”, perché dalle mie parti sperimentare significa “aprire una via”.
Quando invece bisogna ricordare e sottolineare che il clima d’aula, il contatto umano è insostituibile in una comunità educante. E a ricordalo sono pedagogisti, docenti, presidi, educatori..
Ma in questo momento una domanda è d’obbligo: perché se il clima generale è quello della collaborazione fra la maggioranza dei presidi e dei docenti (entrambe le componenti, insieme agli Ata, stanno dando, quasi sempre, prova di buonsenso e di impegno, anche perché chi è intelligente è ben conscio del momento drammatico e della priorità di tamponarlo, di “addolcirlo” oserei dire, per quanto possibile, con dedizione ma senza retorica, con impegno ma nel rispetto dei diritti), allora perché, secondo il parere dei sindacati e di tantissimi docenti (magari anche di tanti presidi, ma capisco che non lo possono dire e molti di loro sono le prime “vittime” di certe pressioni e di questo clima che si è inutilmente “avvampato”), da parte della ministra Azzolina e con toni più “sfumati” anche da parte del capo dipartimento Marco Bruschi (che peraltro io conoscevo come il mitico Max Bruschi, consulente della Gelmini all’epoca dei tagli al personale e ai finanziamenti delle scuole) si sono usati in alcuni passaggi di note e circolari toni da “diktat” e sfoggiato “prove muscolari”?
Mi sembra da molte testimonianze che nella maggior parte dei casi presidi e docenti stiano perseguendo unità di intenti e stiano collaborando (chiaro il verbo?) in sintonia: i presidi capiscono l’impegno degli insegnanti (ognuno secondo le proprie possibilità non si è tirato indietro), i quali a loro volta se notano un atteggiamento dialogante dei dirigenti scolastici trovano la spinta (e direi la “forza”, perché non è facile, perché anche gli insegnanti devono come tutti gestire un clima familiare pesante, perché spesso anche loro hanno persone anziane e/o figli da accudire, magari anche da aiutare per i compiti assegnati… da “colleghi a distanza”, computer o tablet da condividere in famiglia) per andare avanti e non fermarsi.
Poi, è chiaro, ci sono state eccezioni, soprattutto per essere oggettivi nel campo dei dirigenti, in primo luogo la reazione secondo me assolutamente scomposta della decina di Ds che hanno sottoscritto il comunicato di protesta nei confronti dei sindacati, fuori luogo perché le organizzazioni sindacali non contestavano il ricorso alla didattica a distanza, però attuata nella libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione, bensì la mancanza di un confronto sulle modalità e soprattutto i toni di alcuni passaggi della nota in questione. E mi sembra giusta ed equilibrata la lettera spedita alla Tecnica firma di un foltissimo numero di insegnanti come replica al comunicato di quei (per fortuna pochi) presidi, così come mi piace ricordare, per saggezza ed equilibrio, quella inviata da una singola docente.
Gli insegnanti stanno dando prova di professionalità e di attaccamento alla scuola e agli alunni (forse anche in questo caso ci saranno eccezioni, ma davvero se ci sono si tratta di casi numericamente marginali), senza peraltro attaccarsi a disposizioni contrattuali e articoli costituzionali (se la Azzolina giustamente cita l’art. 34 per il sacrosanto diritto allo studio, allora anche l’art. 33 sulla libertà di insegnamento non può essere certamente dimenticato!) se non di fronte a quelli che vengono percepiti come interventi inopportuni che addirittura potrebbero essere un “boomerang” se chi opera quotidianamente a scuola non fosse spinto da spirito etico verso gli alunni (anche quelli che talvolta non li rispettano, come pure taluni genitori).
Quindi sarebbe opportuno stemperare i toni da parte di chi li ha inaspriti, apparentemente senza alcuna ragione. Rivolgendo “un appello” ai dirigenti scolastici, Azzolina li ha in pratica “radunati” e li ha “spronati” dicendo: “Voi sì che siete i comandanti della nave” (quindi ogni parere contrario ai loro “ordini” va considerato insubordinazione, forse… addirittura “ammutinamento”, con tutto quel che ne consegue?). Poi cita “il Ccnl area dirigenziale istruzione e ricerca 2016-18, per cui il dirigente conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire la Repubblica con impegno e imparzialità”. Ci mancherebbe, ma che c’entra con il disporre eventualmente le precise modalità con cui svolgere la Dad? “Potremmo continuare all’infinito” (all’infinito addirittura?). “Mi fido ciecamente di voi”, conclude la ministra.
Francamente sentire dire da “centri di comando” (e chiaramente non mi riferisco né alla ministra né a dirigenti ministeriali), spesso estranei alla scuola (almeno in modo diretto), che chi difende la legalità e i diritti difende in realtà i “fannulloni” è insopportabile e chi lo afferma spargendo “zizzania” è un mistificatore o un “fanatico”.
C’è forse qualche strategia che in realtà mettendo in moto un meccanismo di scontro, un clima ostile fra componenti scolastiche, persegue il fine più alto di trasformare, aziendalizzare (vecchio “pallino” di alcuni), il sistema scolastico per il futuro, senza neppure la possibilità di un confronto serio, ammutolendo le voci dissonanti, i ragionevoli dubbi, imbavagliando il dissenso e applicando magari la sempre valida tecnica del “divide et impera”? Se così fosse un simile progetto non deve passare nel silenzio avvilito delle varie componenti scolastiche.
Già sulla legge 107 (la famosa “buona scuola”, sigh!) ci fu una levata di scudi da parte di una moltitudine di docenti, di studenti, di famiglie, ma anche tantissimi presidi ne misero in rilievo diverse criticità, adesso il progetto paventato nel precedente capoverso prefigurerebbe scenari peggiori. Qualcuno pensa che passerebbe, così come in fondo nonostante scioperi, manifestazioni, proteste e dissensi passò la legge 107? Errore, secondo me, non si fanno i conti con una presa di coscienza e una reazione differente dopo le tragedie a cui stiamo assistendo (non penso, almeno lo spero, che i cittadini cadranno nel calcolo “cinico”, e questo discorso non vale solo per la scuola ovviamente, ma per l’economia e l’austerity ad esempio, di chi pensa che saranno “docili” e “remissivi” dopo… lo scampato pericolo).
Peraltro nella scuola il dirigente dà l’indirizzo, gli input ma delibera il Collegio docenti: gli organi collegiali esistono ancora (occorre che i sostenitori di un certo “dirigismo” se ne facciano una ragione‼) anche se ripetutamente in passato si è pensato di depotenziarli o annullarli addirittura.
Gli strumenti (ovviamente anche le nuove tecnologie) da utilizzare per l’insegnamento vanno “maneggiati con cura” (pure a beneficio della salute degli allievi: Alvaro Belardinelli, in uno dei suoi lucidi e apprezzati articoli, di fronte al rapporto frenetico e poco salutare degli adolescenti con cellulari, ecc., si chiede… come si può “curare con uno schermo la dipendenza da schermo?”, con riferimento ad un uso eventualmente improprio ed eccessivo della didattica a distanza; concludendo questo passaggio del suo articolo così: “non lo diciamo noi: lo confermano studi scientifici di noti psichiatri, neurologi e psicologi”).
Ed in effetti la didattica a distanza è utile nelle situazioni emergenziali ma non può mai sostituire il contesto didattico, formativo, di integrazione/interazione (ognuno per il suo ruolo) dell’aula reale, che rappresenta il vero ambiente di apprendimento che accomuna tutti (figli di famiglie con pochi mezzi economici e magari anche privi di adeguata strumentazione digitale e figli di famiglie benestanti con un pc per componente, due/tre tablet, smartphone “a go a go”, ecc.).
Sul tema delle valutazioni a distanza, molto delicato, e su altri aspetti della Dad, nonché sulle reazioni nel mondo della scuola (e non solo) allo stanziamento di 85 milioni di euro per consentire l’attivazione di percorsi di didattica a distanza nelle scuole italiane, con molti lavoratori del comparto scolastico (per oggi mi limito a riportare il pensiero dolce e accorato insieme di una docente che ha scritto a questa testata), ma anche Associazioni e chi comunque non fa parte del mondo della scuola, che preferirebbero che tali fondi venissero utilizzati, in aggiunta a quelli stanziati, per la sanità, per comprare i presidi medici utili a salvare vite umane e magari evitare nel contempo il diffondersi del virus, su questi temi, dicevo, proseguiremo in un prossimo articolo: da vecchio giornalista della carta stampata non so contenermi nei 140 caratteri di twitter, poi implementati a 280 se non sbaglio (che grande possibilità di analisi e di approfondimento!), ma capisco le esigenze della scrittura on line e dilungarmi ancora non sta nei “canoni” del web.
Però voglio anticipare un commento molto pregnante ed accorato di un lettore, espresso se ben ricordo su facebook: “Pensiamo a restare vivi”. E voglio allora concludere con le parole di una canzone di Francesco Guccini: “Di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo”.
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