Marcel Proust, in un passo della sua monumentale opera, “Alla ricerca del tempo perduto”, osserva che la comunicazione telefonica è inautentica, artificiosa, non comparabile ad un dialogo vis à vis. E’ lo strumento in sé a creare una distanza tra gli interlocutori, ad intessere una relazione che è una non-relazione: si perde il vero contatto con l’altro che è avvivato da parole con un timbro che al telefono si smarrisce quasi del tutto, da sguardi, ammiccamenti, gesti, pause.
Mutatis mutandis, le riflessioni di Proust si potrebbero estendere alla “didattica” a distanza. E’ la tecnologia stessa che provoca la perdita di valori prossemici e soprasegmentali, aspetti significativi in un interscambio umano che può assurgere a simbiosi.
Che tale tipo di insegnamento sia quasi del tutto inefficace, potendo essere considerato, nella più benevola delle ipotesi, un surrogato della didattica in presenza, un estemporaneo e – si auspica – provvisorio ripiego, non è neppure da dimostrare: tali e tanti sono i limiti di questo sistema che impedisce di interagire in modo efficace, di trasmettere contenuti su cui si possa poi riflettere, di rafforzare competenze, di valutare in modo serio, di condividere interessi culturali. Tutto si riduce ad un ping pong, ad uno skinneriano stimolo-risposta. Certo, alcune sfaccettature tecnologiche della “didattica” a distanza sono seducenti, ma alla fine sono simili a belli e coloratissimi fiocchi di scatole vuote.
Si possono sottacere tutti gli svantaggi di codesta forma di insegnamento-apprendimento, sia pratici sia educativi? Costi, problemi di connessione, impedimenti tecnici vari, ritardo o assenza del feedback, interlocuzione fredda, frammentaria e discontinua.
Non si può inoltre dimenticare che queste strategie didattiche sono associate ad un modus vivendi che non è né normale né salubre, poiché significa che sia gli insegnanti sia gli allievi, spesso esuberanti e desiderosi di passare il tempo fuori casa con gli amici, sono costretti a stare per molte ore di fronte ad uno schermo, magari irradiati da nocivi campi elettromagnetici, qualora si usino collegamenti senza fili. Così, ufficialmente per tutelare la salute, si danneggia, costretti ad una vita claustrale, la salute psico-fisica: sono ora disturbi lievi (affaticamento della vista, cefalea…) ora si possono rilevare anche gravi patologie, mentre l’equilibrio emotivo è messo a dura prova da tempi scanditi e dominati da un abuso di tecnologia.
Ciò non significa che a scuola le risorse tecnologiche debbano essere bandite: ad esempio, una lezione può diventare accattivante e giovevole, se, alla dissertazione del professore, si affianca un video, una funzione della lavagna multimediale etc. Tuttavia, nel momento in cui la tecnica diventa egemone, nel momento in cui i confronti interpersonali sono sempre e comunque mediati da cellulari, elaboratori, videocamere… si dissolve l’aura del contatto umano, nella fattispecie quello tra docente ed allievo, pur con tutte le inevitabili incomprensioni ed ambiguità.
La realtà digitale, algida e eminentemente visiva, si sostituisce alla realtà naturale e socio-affettiva, decretando il trionfo della solitudine dell’uomo contemporaneo, intesa come isolamento. La solitudine peggiore è quella che elargisce l’illusione di essere “connessi”.
Antonio Marcianò