Fermo restando che il luogo del Sapere rimane la Scuola con tutto quello che essa significa, ma di cui molto si è andato perso e continua a perdersi nel suo fondativo, il culmine di questa dispersione, o meglio di questo deteriorarsi come tutte le cose nel tempo, è denunciato dalla situazione che ha trovato l’intera Società civile, e quindi anche noi docenti, impreparati, e al contempo, dal profondo solcato della realtà Scuola, con il suo 45 % della popolazione scolastica, in specie al Sud, manchevole di ogni strumento necessario affinché possa essere soddisfatto il nuovo corso del fare e essere Scuola: la didattica a distanza.
Presentata come occasione di orgoglio per un Paese Industriale tra i maggiori nel mondo, ancora una volta offre la nudità del re: impreparazione.
Impreparazione che, come da DNA del popolo italiano, sa essere affrontata con inventiva e buona volontà, notificando al contempo una violazione di alcuni spazi sociali e personali, nel dentro di una imposizione dettata dall’alto di una Politica che, dietro il nome di democrazia, continua nel suo operare autoritario (il che è peggio di ogni sistema totalitario che nella sua ideologia “potrebbe” trovare giustificazione del suo essere e fare), detta (senza dettare) le linee guida, gestendo gli addetti ai lavori come numeri e servi, e nel contempo offrendo alle autorità scolastiche (i DS) di esaltarsi e quindi muoversi nel loro riconosciuto delirio di onnipotenza. E ciò poi per sfatare quel mito che vuole che i docenti siano coloro che lavorano 18 ore settimanali ed hanno tre mesi di vacanza, e, soprattutto, per giustificare il salario mensile, che in questo periodo di COVID-19 li trova tutti a casa.
Questa mia considerazione nasce non quale oggetto di o da polemica, bensì dal quotidiano che vuole noi docenti persi tra tastiere e desktop di computer, piattaforme di ogni genere, di cui WESCHOOL sembra trovare più spazio perché rispondente alle necessità odierne. Cosa bella, interessante, utile, e che oltremodo potrebbe essere considerata (deve essere considerata) come corso di formazione che totalizzerebbe le 25 ore che il MIUR impone da anni. A tal guisa mi domando se non fosse più opportuno operare con una unica piattaforma nazionale, e con accesso unico di indirizzo di posta elettronica e unica password che consentisse di muoversi più facilmente, anziché questo ginepraio di softweare.
Tornando al feriale, mi chiedo ad esempio, chi insegna musica, ed ha come strumento un violincello, come può attraverso una video-lezione far sì che lo studente applichi l’uso dell’oggetto secondo la corretta gestione di mani, postura del corpo, ecc…: facile per chi insegna materie prettamente teoriche, difficile per chi insegna materie laboratoriali i cui strumenti necessitano di una plastica operatività con interventi immediati sullo (e con lo) studente e sullo strumento didattico che si usa (ciò non toglie che per le discipline teoriche comunque il lavoro è massacrante, tra informazioni, relazioni, spiegazioni on line, test, valutazioni degli elaborati, e il tanto troppo tempo di impiego che ciò richiede e che supera le famose 18 ore del pensare costume comune ecc.) Ma questo il MIUR (nella persona della nostra Ministra dalle labbra rosse fuoco), lo disconosce o fa finta di disconoscerlo. Inoltre a ciò si accompagna la gravità di una platea, quale quella degli studenti, che malgrado la loro buona volontà, sono spesso poveri negli apprendimenti, perché difficoltosa è l’operazione di conoscenza e competenza, e ciò dovuto alle loro personali realtà sociali e familiari: il Sud, meraviglioso e naturalisticamente unico nella sua bellezza, che purtroppo vive di una società in alcune zone (specie l’entroterra) fortemente radicate su teoremi educativi difficili ad oggi da estirpare, e quindi della difficoltà al proiettarli al nuovo che avanza e non permette a nessuno di fermarsi al di qua della carreggiata.
Chi scrive insegna in questo Sud, e spesso lo sguardo è come quello di Cristo che amando lasciò andare il ricco giovane che voleva seguirlo, ma al quale complicato gli era l’abbandonare le proprie ricchezze.
In tutto questo non si può non sottolineare l’impegno a tempo pieno dei tanti, molti, docenti che cercano di muoversi equilibristicamente rispondendo alle tante perplessità e domande di natura cognitiva necessaria per l’apprendimento degli studenti che trovano (malgrado essi siano i conoscitori e fruitori professionisti del web…) difficoltà talvolta nell’eseguire gli esercizi posti dai loro insegnanti. Docenti che si sono trovati bombardati da uozzap, chiamate al cellulare, mail numerose, e tutto e tutti senza tregua in un impegno che non deluda nessuno. E ciò in nome di una deontologia che la coscienza professionale e personale esige spontaneamente al dovere e alla solidarietà: noi italiani!
Docenti, che comunque restano nel luogo dove da anni sono stati confinati in ruoli che non gli appartengono ma che comunque cercano di assolvere per la sensibilità che li caratterizza, perché padri, madri, e non dunque semplicemente insegnanti. E la cui cultura non è più riconosciuta, ma bistrattata e violentata nell’espletare la loro missione (e non soltanto funzione sociale), ai quali sempre si chiede tanto, si chiede tutto, e si mettono a tacere qualora avanzino richieste di un legittimo riconoscimento che sia all’altezza del loro impegno e in linea con quello dei colleghi europei. O il diritto a contribuire a tempo indeterminato col loro servizio prestato in tempi scadenzati tra settimane, mesi, anno scolastico completo, scivolando così nelle graduatorie di ogni ordine e grado: i nostri precari. Cioè coloro sfruttati senza speranza a causa di una cecità e una sordità autoritaria e dagli interessi di natura politica che vuole riconoscerli validi se in grado di superare un concorso… .
Detto ciò, una ultima domanda: chi paga l’accesso alla navigazione in internet, sia attraverso cellulari, tablet o pc? Chi riconosce economicamente e soprattutto nella dignità professionale il lavoro che non si chiude nel cerchio delle 18 ore (benché mai sono state di fatto 18, perché il lavoro pomeridiano da sempre non riconosciuto sovrabbonda di tempo non misurabile: preparazione delle lezioni, valutazione degli elaborati, rimodulazione e arricchimento personale delle tematiche da affrontare il giorno dopo in classe, l’aggiornamento dei programmi che si accompagniano di competenze laboratoriali)?
Carissima Società Civile, ed Egregia Politica, non siamo e non vogliamo il riconoscimento pettorale, nessuna insignie sulle nostre giacche o maglioni, non ci sentiamo eroi del feriale, ma Gridiamo allo sfacelo di questa Scuola che è nata perché voluta quale luogo della formazione culturale etica e sociale dell’UOMO.
Ancora una volta unico riconoscimento è quello che un cassiere al supermercato ha ben esposto: “di cosa vi lamentate voi insegnanti, tanto ora fate meno di quello che facevate”. Vallo a spiegare che invero ci viene tolto anche l’unico pezzo di tempo che relegavamo a noi stessi e alle nostre famiglie e amici. Oggi la didattica a distanza significa che dalle 8 del mattino sino a sera inoltrata ci si trova impegnati a trovare l’equilibrio per muovere il CAOS.
Noi siamo riconosciuti soltanto quando la Scuola si chiude, e le famiglie disperano sul come gestire i loro figli, perché impegnati col loro lavoro, o altro. Che tristezza.
“Il gattopardo” docet: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Coraggio colleghi. Noi speriamo che ce la facciamo. E ce la facciamo, come sempre.
Mario Santoro