Nella bozza di decreto relativa alla fine dell’anno scolastico e agli Esami di Stato, presto all’esame del CdM come ulteriore risposta del Governo al contagio da Coronavirus, c’è anche una parte dedicata alla didattica a distanza.
È una sezione importante, perché, se approvata dal Governo e poi dal Parlamento, introdurrà in modo non più facoltativo o possibile l’utilizzo delle lezioni on line.
Il comma 3 dell’articolo 2 della bozza del D.L. è dedicato completamente alla DaD. C’è scritto che “in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione”.
Ciò che risulta evidente è il passaggio, da parte del ministero dell’Istruzione, da una fase di didattica a distanza propositiva e auspicabile, comunque non imposta, ad una prossima fase di utilizzo inevitabile, che non ammette alternative.
Per rendersi conto meglio del cambio di passo da parte del MI, basta andare rivedere cosa diceva la nota 388 del 17 marzo scorso.
In quella nota, intitolata “Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza”, il capo dipartimento Marco Bruschi spiegava che la DaD non è “un adempimento formale, perché nulla di meramente formale può essere richiesto in un frangente come questo”.
Sempre con la nota di metà marzo, Marco Bruschi asseriva che “le interazioni tra docenti e studenti possono essere il collante che mantiene, e rafforza, la trama di rapporti, la condivisione della sfida che si ha di fronte e la propensione ad affrontare una situazione imprevista”.
Nei prossimi giorni, se il decreto dovesse passare nei nuovi termini, il quadro quindi cambierà. E non di poco.
Certo, la libertà d’insegnamento, costituzionalmente garantita e intesa come contenuti dell’offerta formativa che ogni docente propone alla classe, rimarrebbe salva: ogni docente deciderà sempre e comunque “cosa” insegnare.
Quello che muterà, rispetto alla didattica in presenza, è la modalità per arrivare agli alunni: una modalità che, in questo momento di emergenza, con docenti e alunni costretti e rimanere a casa, per il Ministero non può che essere quella telematica.
È anche vero che lo stesso ministero dell’Istruzione soprassiede a situazioni che probabilmente andrebbero affrontate con maggiore solerzia: oltre agli alunni, infatti, vi sono anche degli insegnanti, soprattutto precari con poco servizio alle spalle, che possono avere problemi di accesso alla rete. Non è poi nemmeno così scontato che siano proprio tutti in possesso dei device e delle competenze minime per gestire le lezioni on line.
Certamente, si tratta di una parte residuale. Ma ammesso che si trattasse anche solo del 5% del corpo insegnante, staremmo comunque parlando di oltre 40 mila docenti.
Poi, certo, c’è il problema della mancata presenza nel contratto dell’utilizzo della didattica on line: un’assenza che a livello sindacale sta determinando più di un mal di pancia.
Tanto che, assieme alla formazione a distanza che potrebbe non avviarsi per problemi oggettivi (come la mancata tecnologizzazione o connessione di docenti e alunni), si può prevedere che ci sarà un numero non marginale di casi in cui le lezioni via internet non verranno comunque volontariamente impartite.
Infine, c’è da dire che l’articolo 2 della bozza di D.L. non si occupa solo di didattica on line: la seconda parte del comma 3 dell’articolo 2, si rivolge infatti al lavoro che conducono i capi d’istituto e il personale Ata.
Si precisa, in particolare, che “le prestazioni lavorative e gli adempimenti connessi dei dirigenti scolastici nonché del personale scolastico, come determinati dal quadro contrattuale e normativo vigente, fermo quanto stabilito al periodo precedente, possono svolgersi nelle modalità del lavoro agile anche attraverso apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici, per contenere ogni diffusione del contagio”.
Una possibilità già adottata da diversi giorni. Da quando il Governo, metà marzo, ha introdotto le misure per il lavoro agile nella Pubblica Amministrazione, che hanno anche consentito ai dirigenti scolastici di organizzare le attività da remoto e quindi di lasciare le scuole aperte solo per le attività ‘indifferibili’.
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