I lettori ci scrivono

Didattica a distanza e libri di testo

Abbiamo atteso che il senatore Faraone desse risposta all’intervento in questa sede di Michele Badagliacca, ma sembra inutilmente: un politico, ovviamente eletto, che si sottrae al confronto, non dà certo una buona immagine di sè.
Qualsiasi sua osservazione sarebbe stata preferibile e un silenzio poco decoroso. Specie perché Badagliacca ha dato l’opportunità con le sue righe di allargare la prospettiva del dibattito sulla crisi in corso, nei suoi aspetti legati al lavoro, ma anche alla scuola e al problema in generale della formazione.

Vorremmo allora intervenire  con alcune osservazioni, con l’intenzione di estendere la prospettiva e fornire spunti di valutazione, augurandoci che risultino  un po’ meno piatti di quelli forniti dal dibattito politico a cui stiamo assistendo

1. In primo luogo la didattica a distanza. L’esperienza condotta in questi mesi ha impegnato gli insegnanti in uno sforzo encomiabile, in termine di ore di preparazione più ancora che di impegno nella lezione, condotto senza preparazione specifica, con risultati che gli insegnanti stessi valutano, per quanto ne sappiamo, poco convincenti. Gli insegnanti che abbiamo ascoltato valutano l’efficacia del loro sforzo non superiore a un terzo dei risultati ottenuti normalmente in classe. Alcuni parlano anche di percentuali minori.

Sono risultati che confermano quanto gli esperti di didattica a distanza dicono senza difficoltà, e cioè che si tratta di uno strumento didattico inadatto allo studente della secondaria. Si tratta invece di uno strumento di didattica per gli adulti, dal livello universitario in su. I forti limiti della didattica a distanza non sono quindi superabili, e comportano anzi conseguenze rilevanti, che non abbiamo ancora sentito segnalare.

La prima conseguenza è un forte deficit formativo sopportato dagli studenti di questo anno scolastico: si tratta di una carenza non facilmente recuperabile, che sarà aggravata purtroppo dalle difficoltà attese nel prossimo anno scolastico, su cui si sentono le ipotesi più fantasiose, ma certo nessuna accettabile sul piano della qualità dell’insegnamento. Non sappiamo quali garanzie fornisca la Commissione Bianchi, in cui la presenza di insegnanti delle secondarie è tanto modesta. Saprà risolvere un rebus così complesso? Rispettiamone il lavoro e aspettiamo.

2. Il digitale può aiutarci?
Possiamo dire che preoccupa l’atteggiamento del Ministro della pubblica istruzione, che parla della didattica a distanza come di un’occasione di equità didattica, che investe somme significative per fornire agli studenti strumenti digitali, e che ignora la realtà del libro, come se fosse uno strumento marginale o quasi. Semplicemente non ne parla, come fosse certo che i contenuti digitali potranno fornire garanzie di apprendimento. A questo proposito rimuoviamo subito i dubbi: venti anni di ricerche hanno confermato che lo strumento digitale e i suoi contenuti non consentono un buon apprendimento, neppure lontanamente paragonabile a quello fornito dal libro cartaceo. Il digitale è efficace solo in alcune e ben definite attività didattiche, limitate e settoriali. Anche i suoi ostinati estimatori della prima ora hanno dovuto cedere di fronte all’evidenza. Vogliamo ricordare la rivolta dei genitori di quell’istituto italiano in cui il libro era stato abolito a favore del ‘tutto digitale’ ? Mai come in questo momento si conferma che la cultura occidentale è il libro, e che solo potenziando il suo utilizzo si può garantire a questa generazione di studenti, colpita dal virus nelle sue esigenze di formazione, di recuperare il recuperabile. Comprendiamo che questo avviso, condotto da degli editori, può suscitare commenti dietrologici, ma li affrontiamo serenamente, nella consapevolezza che i fatti daranno ragione.

3. Quali libri? Non è di questo che dovremmo parlare?
Proprio il fallimento della didattica a distanza sembra avere confermato negli insegnanti la consapevolezza che la strada da seguire in futuro sia quella del libro, e non altre. Non è una strada semplice, nel senso che il libro scolastico utile in tempo di corona virus non è lo stesso utilizzabile in condizioni normali, ma non si vede come si possano seguire alternative illusorie, ed è quindi di questo che dovremmo parlare. Ci sono consuetudini sedimentate che andrebbero riviste, a partire dall’abnorme foliazione dei libri di testo e l’uso straripante del colore. Ma per affrontare questi problemi occorre superarne altri. Non sembra ci sia un’adeguata consapevolezza del costo che questa crisi avrà per le generazioni scolastiche in termini di arretratezza culturale e di formazione. Insistere favoleggiando sugli strumenti digitali porterà solo a condannare anche per il prossimo anno la generazione degli studenti delle secondarie e un deficit formativo cronico.

4. Le dimensioni sociali del problema.
Un dato impressionante: sembra che il fondo di cento milioni circa stanziato ormai da molto tempo per fornire i libri alle famiglie in difficoltà, ogni anno non venga esaurito. Se così è, dobbiamo concludere che in molte famiglie indigenti è carente la consapevolezza che solo un’adeguata formazione potrà garantire ai loro figli un riscatto sociale. La crisi della didattica a distanza pare destinata ad approfondire il divario sociale: chi è culturalmente ricco quanto basta per comprendere le dimensioni del problema, provvederà a formare i propri figli e a compensare privatamente il gap di formazione, e ci riuscirà, perché gli strumenti di formazione cartacei sono a basso prezzo; chi è culturalmente (ed economicamente) povero li condannerà a un futuro ruolo sociale marginale, o a dovere recuperare faticosamente una volta adulti, come è capitato alle prime generazioni del secondo dopoguerra. La forbice, culturale ed economica, si allargherà.
Un governo che vuole provvedere a tutto con sforzi encomiabili (tutti da verificare in futuro, come inevitabile), anche a fornire alle famiglie un bonus vacanze, non dovrebbe affrontare anche questo problema? Pensiamo pure alle vacanze delle famiglie, e al futuro dei loro figli … ?

Paolo Pullega e Sergio Olimbo

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