Attualità

Didattica a distanza: è sbagliato dire che produce disuguaglianze, la parola alla pedagogia

Sugli effetti, reali o presunti, della “didattica a distanza” è intervenuto anche il presidente del consiglio Mario Draghi nel corso della conferenza stampa del 10 gennaio.
Ne parliamo con Cristiano Corsini, docente di pedagogia all’università di Roma Tre.

Il presidente Draghi dice che la DaD ha prodotto disuguaglianze significative. Secondo lei come stanno le cose?

Le disuguaglianze ovviamente esistono, ma non sono affatto “prodotte dalla dad”, semmai sono create dal sistema sociale ed economico e acuite da una distanza gestita malissimo.
L’affermazione “la dad produce disuguaglianze” contiene due inesattezze. La prima è scientifica, ed è legata alla confusione tra didattica e distanza. La seconda è politica e si basa sulla rimozione dell’origine sociale ed economica delle disuguaglianze. Queste due sviste permettono alla politica di riaprire le aule senza assumere impegni concreti per una scuola in presenza sostenibile dal punto di vista del diritto alla salute.

Perché è una affermazione pedagogicamente sbagliata?

Dal punto di vista scientifico, ovvero pedagogico, l’inesattezza consiste nell’usare “dad” non per indicare le specifiche scelte didattiche effettuate da chi insegna da remoto, ma il mero distanziamento. Draghi, confondendo la didattica con la distanza, incorre nella stessa svista di chi quest’estate, dopo la pubblicazione del rapporto INVALSI, ha addossato alla didattica i problemi causati dalla distanza e rilevati dall’istituto di valutazione.

In effetti, in quel caso, l’Invalsi stesso intervenne per chiarire il punto

Sì, il presidente Roberto Ricci precisò come non fosse corretto attribuire alla dad le accresciute disuguaglianze riscontrate nel Rapporto. I dati INVALSI rilevano che durante il primo anno di pandemia c’è stato un accrescimento delle disuguaglianze a livello territoriale e sociale. In particolare, nella scuola secondaria il sud e le famiglie con un basso ESCS (indicatore di stato socio-economico) hanno visto acuirsi la distanza dai punteggi medi.
In ogni caso la precisazione del presidente dell’INVALSI fu ignorata, dato che quando c’è un bias di conferma che condiziona non solo la comunicazione, ma anche la percezione della realtà, è difficile tornare sui propri passi.

Quindi è scorretto mettere in relazione didattica a distanza con l’aumento della disuguaglianza?

Per attribuire questo peggioramento alla “dad” dovremmo descrivere e analizzare le diverse strategie messe (o non messe) in atto nei diversi contesti per affrontare il problema. Se lo facessimo, scopriremmo che a determinare il peggioramento non è stata la didattica ma una distanza socialmente e politicamente mal gestita e mai inquadrata pedagogicamente. Per questo motivo, anche limitarsi a chiudere le aule senza lavorare a distanza non mi sembra una buona idea.

Ma lei parla anche di una “svista” di natura politica. Cosa intende dire con precisione?

Affermando che le disuguaglianze sono prodotte dalla dad, Draghi di fatto omette di dire che certe disuguaglianze sono in primo luogo prodotte da disparità di natura sociale ed economica. Addossare alla “dad” tali differenze consente di continuare a disinvestire nell’approntamento di una presenza in grado di rispettare il diritto alla salute di tutte e tutti.

Cioè?

E’ presto detto: nulla è stato fatto su testing, tracciamento, distanziamento e aerazione. E la responsabilità non può certo essere addossata sulle spalle di dirigenti e personale docente e amministrativo, dato che per affrontare sfide tanto complesse avrebbero avuto bisogno di un supporto reale e non delle rabberciate e incoerenti linee guida emanate da viale Trastevere.
Aggiungo che in quasi due anni i due governi e i due ministeri che si sono succeduti hanno dimenticato di elaborare un piano per raccogliere in maniera sistematica il punto di vista di dirigenti, docenti, personale ata, studentesse, studenti e famiglie.

A cosa potrebbe servire un “sondaggio” del genere?

Sicuramente  si potrebbero ottenere preziose informazioni per calibrare le scelte di politica educativa su esigenze generali e specifiche. Al contrario, è successo che, unilateralmente e senza neanche procurarsi di comprendere cosa fosse e come fosse vissuta la dad, si è stabilito che essa provoca danni e produce disuguaglianze.

Non pensa che forse c’è anche qualche responsabilità da parte del mondo delle “scienze dell’educazione” che in questi due anni si è sentito poco?

Personalmente, come cittadino, ma anche come genitore, sono sempre stato convinto dell’importanza della presenza. Ma, da pedagogista, osservando per l’ennesima volta che si rientra in presenza senza aver mosso un dito per difendere la salute di chi nella scuola lavora e apprende, non posso dimenticare le responsabilità di una parte del mondo che ruota attorno alle scienze dell’educazione, un mondo che avrebbe dovuto sin da subito far sentire la propria voce nel momento in cui la politica e l’informazione immiserivano il concetto di didattica riducendolo a quello di distanza. Chi parla male pensa male e agisce peggio, ma chi tace acconsente.

Reginaldo Palermo

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