Se la scelta della didattica a distanza è l’unica via percorribile, in un momento così buio per la scuola italiana, tonano al pettine nodi che, se per un verso ormai sarà difficile sbrogliare, in funzione soprattutto degli esami di stato, e dall’altro si impigliano con una realtà assai diversa da quella immaginata da tanti.
Posto che già il Ministero ha stabilito che la Dad non può limitarsi all’invio di compiti, ma che servono spiegazioni e interazioni, facendo il possibile perché sia didattica tutti gli effetti, e che occorre continuare a valutare gli studenti, perché non c’è didattica senza valutazione, si chiedono molti osservatori, fra cui la Fondazione Agnelli: perché questa scelta della Ministra di promuovere tutti agli esami di stato, soprattutto dopo gli evidenti sforzi effettuati da insegnanti, alunni (la gran parte, almeno da ciò che risulta, mentre un buon 20% sarebbe escluso per una serie di motivi) e famiglie? Ma anche il Governo, bisogna dirlo, ha fatto la sua parte, finanziando 80 milioni di euro per la scuola.
E inoltre. Qualora si rientrasse a scuola dopo il 18 maggio e quindi, ha chiarito la Ministra, gli esami venissero condotti solo oralmente, ma solo per omaggiare -si fa capire- una semplice formalità, vista la sicura promozione, che senso avrebbe avuto tutto questo sforzo e tutto questo tempo impiegato a mettere in moto un meccanismo così complesso e mai usato prima come la Dad?
Se poi si considera che ormai quasi il 99% dei candidati, in tempi “normali”, supera l’esame di stato e che il voto di diploma non è preso in considerazione né dal datore di lavoro né, o molto poco, dalle università, perché impelagarsi in un rito che già sembra di per sé poco proficuo?
Sicuramente, non si poteva lasciare la scuola allo sbando, consentendo cioè che a casa ciascuno (docenti, alunni, dirigenti) disarmasse l’impegno, ma nello stesso tempo forse sarebbe stato meglio trovare uscite più incisive, non solo per continuare a motivare i ragazzi, ma anche per imprimere una diversa svolta alla didattica più attinente alle tecnologie in uso.
In Cina, fa notare la Fondazione Agnelli, il durissimo esame di ammissione all’università, e che ogni anno riguarda 9 milioni di studenti, è stato rimandato: perchè allora, si chiede Gavosto, non rimandare anche da noi l’esame di stato che riguarda 500 mila studenti?
Ma non solo, c’è pure il rischio, a nostro parere, che qualche consiglio di classe, nel timore di venire coinvolto in qualche procedimento giudiziario da parte di un studente respinto, blocchi perfino la legittima pretesa dei colleghi in minoranza di fermare candidati particolarmente impreparati.
È vero, come sosteneva la ministra Azzolina, che dopo cinque anni di scuola fermare un alunno agli esami apparirebbe quantomeno strano, ma è anche vero che essi, gli esami, sono un momento di ulteriore formazione e di verifica importante, rappresentano il primo grande scoglio nella vita dei futuri cittadini e sono pure la prima vera percezione dello Stato da parte degli alunni nella persona dei commissari che lo rappresentano.
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