La campagna mediatica sulla “Didattica Distanza” (“DaD”) ha evidenziato l’avversione cieca di gran parte degli Italiani per la classe docente. Sui social media si leggono commenti da brivido: si arriva a chiedere “cassa integrazione e licenziamento” per i docenti renitenti o poco collaborativi con la DaD. Poco manca all’invocazione del carcere e della pena capitale.
Per molti Italiani (unici al mondo anche in questo) il problema del Bel Paese non sono mafia, evasione fiscale e corruzione, ma i “privilegi” degli insegnanti: che essi considerano impiegati part time, e che vorrebbero ancor più sottopagati, ubbidienti, umiliati e spregiati. L’impiegato fa 36 ore a settimana in ufficio? Le deve fare anche il docente in classe (anche se stare in classe è molto più duro che stare in ufficio)! E se poi ne fa altre 24 in casa a correggere e studiare, e tante altre a scuola per riunioni varie? Chi se ne impipa! Il docente deve crepare. Anche perché chiunque ha nel proprio passato un docente che gli ha messo 4: onta da lavare col sangue, nell’Italietta Felix odierna, ove pullulano gli innamorati di se stessi e/o dei propri figli-idoli.
Con la Dad, l’italiota medio fiuta la rivincita finale sull’odioso autore del 4. Fioccano le trovate di autorevoli opinionisti che vorrebbero far “insegnare da remoto” anche durante le vacanze pasquali, natalizie, estive (fors’anche di notte). Poco importa se, fino poco fa, gli stessi soloni tuonavano contro i docenti che incollano i fanciulli in casa con i “troppi compiti”. Va bene dire e scrivere tutto e il contrario di tutto, se il “nemico” sono i docenti. E il giudizio è unanime, da destra a sinistra: ossia dai fascistoidi che non hanno letto Gentile ai comunistoidi che non hanno letto Gramsci; o che non hanno proprio mai letto tout court, vista la loro scarsa considerazione per la cultura e per chi è investito — dalla Costituzione — del ruolo di mediatore di cultura verso i futuri cittadini (chiamati, tramite la cultura, ad elevare se stessi per il progresso del Paese).
Come mafia e caciocavallo, anche questa follia è un prodotto tipico del made in Italy. Chissà che qualche Paese estero non ce la copi, qualora un governante la trovasse utile per sottopagare e dominare i propri docenti come qui da noi si fa da 30 anni.
I docenti, in gran parte, non hanno capito cosa si cucina per loro sul fuoco interiore del senso del dovere, che li spinge a caricarsi, con la DaD, some gravose il doppio del solito (e del dovuto); senza più tempo per i propri affetti, per le proprie passioni, per i propri studi (che del docente — di qualsiasi ordine e grado di scuola — dovrebbero esser linfa vitale).
Chi odia gli insegnanti ignora che, caricando some insopportabili sulle persone, le si trasforma in somari peggiori di lui: ma avere docenti trasformati in animali da soma non è propriamente un vantaggio per un Paese che voglia sfidare il futuro.
Docenti come macchine e macchine al posto dei docenti?
A questo si mira, imponendo le macchine come “normalità” nell’insegnamento del domani? Si vuol trasformare definitivamente il docente in operaio, alienato e “cottimizzato” come il protagonista del capolavoro di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso“?.
Che gli appetiti di Confindustria stessero per trovare nell’attuale MIUR un portale spalancato si era notato già dal Convegno che la allora Sottosegretaria Lucia Azzolina organizzò il 25 ottobre scorso alla Camera col titolo “Promuoviamo la scuola: Innovazione didattica, un ponte per il futuro”. Per comprenderlo, sarebbe bastato guardare i nomi dei relatori: Attilio Oliva, “Presidente e Coordinatore delle ricerche dell’Associazione TreeLLLe e membro del board del CERI – OCSE (Centre for Educational Research and Innovation)“; Antonino Petrolino, “Chairman TreeLLLe”; Andrea Gavosto, “Direttore della Fondazione Agnelli“. Nessun relatore difforme dal pensiero neoliberista dominante su Scuola, pedagogia e didattica: quello della tecnologia, delle “competenze”, della “libertà d’insegnamento” eterodiretta e teleguidata attraverso le multinazionali della telematica.
Oggi gli insegnanti sembrano piegarsi a un ennesimo carico insopportabile, improprio, privo dei crismi della liceità, pedagogicamente inadeguato (specie se trattato come copia telematica della Scuola vera); molto adeguato — questo sì — agli interessi delle multinazionali dell’informatica.
Ed ecco che — come scrive Anna Angelucci — solerti Dirigenti fanno fioccare «riunioni di dipartimento e consigli di classe distanza fin dalle prime ore della chiusura delle scuole» per «rimodulare, riorganizzare, rimestare e riperticare nelle miserie del PTOF, senza dimenticare il pathos ministerial-clericale del burocrate che invoca pace e bene per una didattica in cui “nessuno resti in panchina”».
È la chiusura del cerchio? L’istituzione Scuola diviene azienda semi-militarizzata di proprietà statale a capitale pubblico-privato, nella più totale neoliberistica deregulation? A questo è servito sbeffeggiare chi rilevava la mancanza di norme e di cenni contrattuali che obbligassero i docenti alla pratica quotidiana della DaD, (e soprattutto della valutazione distanza e degli organi collegiali a distanza, illeciti malgrado i diktat effettivi dei politici e quelli subliminali dei media)?
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