La forza della fragilità. Un comune denominatore ha governando la crisi da coronavirus. Il mondo dell’infallibilità ha mostrato inesorabilmente la sua debolezza. Ci siamo svegliati tutti fragili.
Fragile la rete, sovraccarica, a volte instabile, discontinua, arbitrariamente interrompe le nostre parole. Le piattaforme web, utilizzate anche per le lezioni in diretta da “remoto”, hanno il sapore della lontananza e in un batter d’occhio hanno ceduto la loro naturale onnipotenza: account hakerati, dati rubati, sicurezza compromessa.
La famiglia gestisce la convivenza forzata, il lavoro agile (che agile non è), i gruppi dei genitori su whastapp, le videoconferenze, i compiti e le debolezze dei figli. Fragili anche loro.
La scuola, luogo del sapere e della formazione della conoscenza, mostra il suo lato debole. L’apprendimento si è privato di una compagna fondamentale: la relazione. Ha affidato la sua azione educativa ai compiti virtuali e ai “meeting” che di incontro a volte hanno solo il nome. Gli alunni, i nostri ragazzi, hanno perso i punti di riferimento, dileguate le regole e le ricreazioni. E noi docenti ci sentiamo orfani. Orfani del contatto, degli sguardi, dei legami “quotidiani”.
La nostra vita, che procedeva in ordine alfabetico, è stata interrotta bruscamente. L’incertezza del futuro, la salute appesa ad un incontro sbagliato. La vacanza da virus ci ha costretto tutti a casa. Isolati. Vulnerabili. Sempre connessi ma mai così soli.
Eppure non ci siamo arresi.
Non ci siamo scoperti docenti digitali ma “docenti” in grado di fare ricerca e di fare della nostra ricerca il baluardo dell’azione didattica. Azione che passa anche attraverso l’affinamento degli strumenti. La didattica dell’emergenza, che non può riprodurre i momenti di ritualità quotidiana dell’apprendimento in presenza, ha trovato nel digitale una possibile alternativa.
Ci siamo ri-trovati, dunque, educatori di noi stessi, facendo emergere il meglio delle nostre professionalità.
Come nella pratica giapponese del Kintsugi, perfetta metafora della resilienza, riparare con l’oro un oggetto prezioso che si è rotto è un modo per impreziosire e dare valore a ciò che si ripara, così ricucendo i nostri strappi emotivi e trasformando la fragilità del momento nella nostra forza, ridiamo valore all’insegnamento sentendoci ancora profondamente “maestri”.
Paola Benevento
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