Siamo tutti un po’ cresciuti ed anche se oggi la colonna sonora è cantata da Mina, Cenerentola è nei nostri ricordi lontani.
Là succedeva che la zucca si trasformasse in carrozza e, probabilmente, c’è qualcuno che pensa che la stessa cosa accadrà per la didattica a distanza dopo il decreto legge del 6 aprile di cui, peraltro, non c’è ancora il testo ufficiale pubblicato in Gazzetta.
Per continuare nella metafora fiabesca, sinora e prima del decreto, la zucca DaD è stata messa in essere, sicuramente tra mille errori, ingenuità, fughe in avanti e fideistiche speranze, una fatica di pazzi e sperimentalismi assurdi ma è stata messa in essere senza bisogno degli ukase.
Ne è testimonianza condivisibile, tra le altre, quella di Gianfranco Pignatelli.
Ora la vulgata giornalistica dice che la didattica a distanza è diventata obbligatoria in quanto “attività ordinaria” e si immagina, perciò, che tutto diventerà funzionale e funzionante.
Per far diventare la zucca carrozza, però, ma soprattutto per farla restare tale anche dopo la mezzanotte ci sarebbe bisogno di alcune condizioni essenziali.
E questo è e sarà lungi dall’accadere nelle prossime settimane o anche nei prossimi mesi.
E la zucca, perciò, non si trasformerà in carrozza ma al massimo potrà essere uno scomodo calesse con molti meno posti.
Quelli dei tanti studenti “disconnessi” per forza, delle tante famiglie dove il tablet governativo arriverà ma magari tra mesi o senza connessione alla Rete.
Perché se l’Istat ci ricorda che un terzo delle famiglie la Rete la vede con binocolo non si può pensare di mettere voti agli altri, i fortunati del cellulare bollente per l’uso magari assurdamente prolungato perché altrimenti i “genitori s’incazzano perché ora la DaD è obbligatoria”.
Ed anche chi già si frega le mani sulla “obbligatorietà” senza se e senza ma (penso a chi scriveva, prima del decreto, di “piena sostenibilità giuridica ed amministrativa” della DaD, a disinformati opinionisti che descrivono i prof come i soliti fannulloni tanto diversi dai medici ed infermieri sul fronte, come pure a presidi che vedono disertori dove non ci sono) dovrà necessariamente rendersi conto che la zucca non può diventare carrozza per decreto.
Perché i giuristi, a proposito degli obblighi giuridici (se è questo che il decreto vuole stabilire per i docenti), hanno sempre ben presente un limite invalicabile: la impossibilità materiale.
Prima di Perrault e della sua Cenerentola ci sono stati i Latini che saggiamente ci hanno lasciato un monito: ad impossibilia nemo tenetur.
Quali sono, ad oggi, i limiti materiali di una attività che si svolge necessariamente attraverso la Rete?
Tutti i limiti infrastrutturali ma anche di digital divide che nessun decreto può con un colpo di bacchetta magica risolvere.
E parliamo solo delle precondizioni che riguardano la struttura generale e quindi degli effetti su tutti i protagonisti della scuola a distanza.
Se poi passiamo, più prosaicamente, ad osservare la praticabilità della didattica a distanza “obbligatoria” dal lato dei docenti e dal lato degli studenti le difficoltà si ingigantiscono.
“Ho il PC, non ho la webcam, esco a comprarla?”, “senti ma il mio microfono non si sente,come si risolve?” “non mi fa installare la videoconferenza perché il sistema operativo è obsoleto”, “perché i ragazzi mi sentono a scatti?”, “posso fare lezione solo di pomeriggio, il pc serve a mia moglie che è in smart working e i ragazzi hanno le lezioni all’Università”.
Mi fermo qui, sono frasi e situazioni reali e non inventate e potrei pure continuare.
Dal lato degli studenti ho qualche difficoltà a scriverne perché anche se senza nomi o riferimenti concreti non è facile scrivere di “prof. ma non ho tutto questo traffico”,”prof potrei disconnettermi che ho qualche problema? “prof ma a che ora faremmo lezione perché il tablet ce l’ho ma serve alle mie sorelle che fanno l’Università” “prof. m’è caduto il cellulare e non funziona più, ora che mi succede?” “prof non usiamo questo perché mi arrivano “cose strane”
Ed allora, come scrive efficacemente Pignatelli:” La scuola militante non pretende titoli sui giornali, interviste televisive, onorificenze e gratificazioni economiche, peraltro erogate a pioggia ad altre categorie.
Si accontenterebbe di svolgere le proprie attività in santa pace, senza che i “grandi strateghi” della scuola facciano ostruzione o fossero d’intralcio. Senza che chi sta in trincea debba proteggersi anche dal cosiddetto “fuoco amico”.
Oppure, aggiungo io, da sergenti di ferro e generali senza galloni, che minacciavano e minacciano sfracelli se non si compilano scartoffie (in questa fase lo sono senza dubbio alcuno) o se non si mettono improponibili firme sui registri ancorché funzionanti a singhiozzo.
E nutro anche una segreta ma concreta speranza: “Speriamo che venga fuori più rispetto anche per gli insegnanti oltre che per medici e infermieri”.
Me l’ha scritto una carissima amica quando tutto è cominciato e la zucca cominciava a rotolare senza freni.
Franco Labella
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