Sono Pedagogista attiva sul territorio e da anni mi occupo di Didattica e Processi di Apprendimento.
In questo momento in cui migliaia di insegnanti stanno cercando di spremere le loro risorse scovando nel loro più profondo bagaglio di competenze la soluzione più ottimale per proseguire con la didattica, le linee che stiamo prendendo a livello Nazionale non sono allettanti.
Didattica a distanza
Agli insegnanti viene chiesto di mantenere i contatti con gli studenti cercando di proseguire con quello che una volta veniva definito “il programma”. Tra i docenti però circola un certo imbarazzo in primis rispetto il nuovo strumento che si trovano a dover maneggiare.
La Didattica a Distanza (DAD) si sta profilando come un sistema di video chat, lezioni registrate, tutorial da copiare ed incollare, foto inviate via whassup, schede fotografate, power point interattivi costruiti di notte, compilazioni di registri elettronici mai utilizzati prima.
Lo sforzo dell’insegnante è notevole, probabilmente lavora più ora che prima. Mentre per la realtà della scuola secondaria il sistema può a mio avviso funzionare bene, anzi migliora a volte la qualità dell’insegnamento poiché permette contributi personalizzati, per la scuola primaria non è cosi.
Con la ricezione dei compiti in maniera prescrittiva, si perde lo sguardo generale e il contesto globale dove si collocano i contenuti scolastici: i bambini rischiano di diventare meri esecutori, con i genitori che si fanno interpreti di richieste delle maestre che spesso non capiscono.
In queste settimane si parla molto di discriminazione tra chi ha i mezzi per poter seguire e chi invece no. Sorpassata questa difficoltà grazie ai dispositivi in comodato d’uso, offerti dagli istituti scolastici (la connessione resta ancora a carico delle famiglie), la più grande discriminazione, per conto mio, è rappresentata (da sempre ma mai come ora) da quella linea di confine tra i bambini che sono seguiti, rispetto quelli che non hanno i genitori in grado di farlo, per capacità, risorse o svariati motivi.
Ricevere i compiti assegnati o le richieste degli insegnanti è cosa da poco rispetto l’apprenderne le relative conoscenze e competenze. Ci si chiede quale tipo di apprendimento stia avvenendo nelle testoline dei nostri bambini, in altre parole: stanno imparando?
Educazione Parentale: i genitori fanno scuola
La risposta forse è una proposta. Nel chiederci come poter portare a termine questo anno scolastico, non guardiamo troppo avanti, alla ricerca di corsi accelerati per imparare l’utilizzo delle piattaforme, non investiamo sugli animatori digitali, sui tablet, sulle video lezioni.
Ma guardiamo indietro, nel passato, quando l’educazione e l’istruzione venivano organizzate interamente dalla famiglia, oppure alle forme più moderne di Parent Teaching e Home Schooling. Pensiamo all’educazione parentale (erogata dai genitori) come forma alternativa per rispondere all’emergenza che stiamo vivendo. La scuola oggi si fa a casa ed è necessario dare autorità alla figura del genitore, mettendolo nelle condizioni di fare da maestro al figlio (ruolo che per l’humanitas romana del mos maiorum sarebbe stato motivo di onore). Gl insegnanti si rivolgano con mail e nuove tecnologie direttamente ai genitori: fare ai genitori le richieste da inoltrare ai bambini, spiegando loro gli obiettivi delle lezioni, i passaggi tra gli argomenti, le competenze di base da raggiungere, le loro aspettative.
La presenza del genitore garantisce l’attenzione esclusiva e dedicata ai figli, promuove la comprensione delle consegne, ammortizza il carico cognitivo, guida la curiosità del bambino verso la riposta corretta, aiuta a fissare i contenuti nell’apprendimento. Tutto ciò che faceva insegnante in classe. Non è forse questa la rete educativa tanto acclamata dai Patti Educativi di Corresponsabilità che firmano genitori ed insegnanti ad inizio anno? Il tendersi la mano per creare la rete educativa attorno ai piccoli futuri cittadini del mondo?
Gli insegnanti si occupino del clima della classe
Questa faticosa triangolazione degli insegnanti che non riescono a raggiungere i loro alunni in maniera autonoma ma devono ricorrere ai mezzi dei genitori, non fa altro che rallentare e sporcare la relazione educativa tra docente e discente. La scuola non è solo trasmissione di saperi ma è soprattutto relazione, educazione, giochi in palestra, confusione nei corridoi, risate di gruppo, abbracci, complicità, profumo di cancellino e polvere della girella. Questo ci manca ora e questo per i bambini era la vita. Lasciamo che gli insegnanti della primaria intrattengano in primis un rapporto affettivo con i loro bambini, e in secondo luogo commissionino ai genitori le richieste scolastiche.
Ai bambini basta poco: l’invio di qualche foto della classe fatta di recente; un audio che racconta la giornata dell’insegnante; una canzone o un disegno da ritornare sul gruppo whatssup tutti assieme; il ricordo di qualche routine che piaceva in aula detto via audio dalla maestra; il ricordo dei procedimenti per fare le moltiplicazioni o per distinguere gli aggettivi.
E’ importante anche tenere viva la comunità del gruppo classe: gli insegnanti chiedano ai bambini di inviare tra di loro foto delle loro camerette, dei loro giochi preferiti, del gioco appena terminato. In questo momento è necessario ridurre le distanze tra compagni per ammortizzare l’isolamento sociale che sta pesando a tutti noi.
La Spagna, da cui non abbiamo nulla da invidiare a livello di integrazione scolastica, ha risposto all’emergenza proiettando in tv in orario scolastico i contenuti uguali per tutti gli studenti (o meglio divisi per età), come se fossero piccoli automi sopra cui rovesciare frasi e immagini scollegate.
Facciamoci vedere, miglioriamo la didattica in questo momento di difficoltà e distinguiamoci per quello che sappiamo fare nel mondo, ovvero creare cervelli pensanti (e sereni, aggiungo da pedagogista).
Roberta Povoleri – pedagogista