La facilità con cui attraverso le tecnologie ci si approccia al sapere, limita fortemente il piacere della scoperta, la costruzione della propria conoscenza attraverso l’esplorazione e l’osservazione, poiché tutto appare preconfezionato in un click, ma naturalmente non possiamo negare la validità degli strumenti digitali come facilitatori e potenziatori della conoscenza, lì dove già questa conoscenza esista.
L’ambiente di apprendimento si deve avvalere di tutti gli strumenti che, sinergicamente, possono avere un ruolo nel raggiungimento degli obiettivi e nello sviluppo delle competenze, ma quello stesso ambiente di apprendimento è costituito dalle classi reali, è fatto di relazioni, rapporti interpersonali, emozioni, empatia, sulla base delle nozioni di una pedagogia che nasce dal quotidiano. Maria Montessori ripeteva che associarsi porta forze nuove, stimola le energie; la natura umana ha bisogno della vita sociale, tanto per il pensiero che per le azioni.
Questo momento che stiamo però attraversando ci ha posto inevitabilmente in stand-by da quella vita, forse, troppo frenetica che ci ha tolto la possibilità di guardare le cose belle, mandandoci un invito a rallentare e al tempo stesso ci sta gridando di non perdere il contatto con la realtà. Ma dalla sospensione delle attività didattiche, appena dieci giorni, è stato un crescente correre, nuovamente, affannarsi, accelerare, stressare alunni, famiglie, docenti che in qualsiasi situazione non si sono mai tirati indietro a fare di necessità virtù.
È questa una delle frasi rimasteci impresse dalla lettura di un articolo, un’intervista a una senatrice della nostra Repubblica, pubblicato il 7 marzo.
Ancora non ci si rendeva conto di ciò che stava accadendo e già si passava a proporre qualcosa di già predisposto. Ma dove? In quale realtà? Certo, ci racconta ancora l’articolo, in provincia di Gorizia le scuole sono all’avanguardia, si è avviato subito un collegio virtuale, così come un altro istituto organizza la prima videoconferenza. Tutto davvero fantastico ma circoscritto appunto ad una, due realtà mentre non ci si chiede da quali onde sia trascinato il resto del Paese.
Nonostante ciò ci si adegua, si prova a mettere in atto una didattica zoppa, tra TG e bollettini di morte, docenti che lasciano compiti, spiegano in video lezione con connessione a tratti assente e famiglie in ansia, mentre ancora l’articolo ci invita a piegare la “rigidità” della classe, espressione che sembrerebbe sottintendere un fallimento del nostro sistema scolastico.
Solo per questo motivo è necessaria l’entrata in modo irruento, a gamba tesa come i falli dei giocatori di calcio, delle tecnologie e strumenti che sono già all’interno delle nostre più che flessibili classi, dove ogni giorno si fanno i conti con mille difficoltà?
L’articolo continua e riporto le parole. –”La decantata scuola finlandese rappresenta un modello oggi a noi vicino, un riferimento dove lo star bene in ambienti perlopiù rasserenati si coniuga con una tecnologia diffusa…” La tanto decantata scuola finlandese, è invece lontana dalla nostra realtà per diversi aspetti, soprattutto per la qualità delle strutture e sulle quali in tempi molto lontani dall’emergenza epidemiologica in cui ci troviamo non sono mai stati presi provvedimenti, nonché la tecnologia diffusa è una vera chimera nella stragrande maggioranza dei casi, con zone in cui non è attiva neanche la linea telefonica.
Vorrei sottolineare che la scuola finlandese è solo PUBBLICA, per cui i fondi sono a senso unico; i docenti sono un pilastro, tenuti in grande considerazione e per quanto riguarda la tecnologia non è lo strumento per eccellenza della stessa. Le scuole sono dotate di tablet in dotazione ad ogni studente, ma la tecnologia non è il focus del processo di insegnamento-apprendimento.
Aver riscoperto in questi giorni computer, telefoni e internet, parlare di quella che sarà la scuola del futuro, fa un po’ sorridere e ci fa chiedere come mai tutto ciò non sia stato fatto a tempo debito.
Nonostante tutti i docenti si siano messi in moto con tutte le risorse a disposizione, riflettendo sulla gravità del momento non è plausibile stanziare 70mln di euro solo per le tecnologie, mentre mancano mascherine, camici, guanti, respiratori e quant’altro.
I nostri figli potranno sopravvivere senza qualche mese di scuola e senza cultura mentre il devolvere tutto alla sanità sarebbe un atto di comunità che agisce dove le priorità sono maggiori.
Simona Giammillaro