A cura di Vito Chiaramonte, coordinatore didattico
Scuola secondaria di primo grado
Istituto Gonzaga – Centro educativo ignaziano e Anna Monia Alfieri, legale rappresentante dell’Istituto di Cultura e di Lingue Marcelline.
«Trascorriamo la nostra vita a cercare di riconciliare le esigenze contraddittorie che caratterizzano il mondo online e il mondo offline». Lo diceva Bauman in un’intervista del 2014.
Oggi siamo proprio in questa situazione: nella scuola, tutti stanno cercando di trovare un equilibrio sulla faglia che divide i due mondi, con un effetto che è il più contraddittorio possibile: gli apologeti della scuola ipertradizionale si sono scoperti ferventi sostenitori delle tecnologie (e, forse, con qualche ragione, visto che la scuola tecnologica può essere marcatamente trasmissiva, come vuole tradizione), mentre gli innovatori più spinti, sottraendosi alle trappole ideologiche dell’e-learning (che conoscono da tempo), hanno assunto posizioni più equilibrate, puntando su una scuola viva, fosse pure online.
E “viva” significa innanzitutto “pronta”. Perché è chiaro che le esigenze contraddittorie non si riconcilieranno se nel frattempo non ci si è riflettuto, come è chiaro che, in fase di sospensione delle lezioni, non sarà la soluzione facile di una piattaforma didattica ad assicurare gli apprendimenti.
Si possono trasmettere informazioni sulle piattaforme, ma si sarà in grado di metterle a tema, insieme agli altri, e di farne competenze? La questione della didattica on line, allora, per chi non si è fatto trovare impreparato, è identica alla didattica in presenza: valorizzare le persone, studenti e docenti. Per quanto riguarda gli studenti, ci accorgeremo presto, se già non lo abbiamo fatto, che conoscono meglio, molto meglio di noi codici comunicativi, strumenti e strategie; che sanno leggere tra le righe dell’online interpretando e producendo con maggiore consapevolezza, intelligenza, velocità; che, in una parola, sono “competenti”.
Per quanto riguarda i docenti è chiaro che oggi il tema della didattica a distanza è una via per riflettere sul tema del significato della scuola nella società futura, se è veramente “il software che comanda”, come diceva Italo Calvino, o se resta vivo il tema della corresponsabilità educativa. Quale corresponsabilità? In questi giorni lo abbiamo visto tutti. Si tratta della corresponsabilità che vede tutti, insegnanti, alunni, famiglie, stringersi intorno ai ragazzi e consentire loro di crescere e di pensare il futuro.
Ma c’è di più in questo tema. Non sarà il fatto che abbiamo dato una mano a nostro figlio nel dettato ortografico a renderci corresponsabili, e neanche che stiamo facendo lezione su Pirandello con i vocali di WhatsApp o su YouTube. C’è un livello in cui la corresponsabilità educativa è un tema strutturale: o c’è, o non regge il sistema. Ed è lì che incontra il tema della parità scolastica.
Mi auguro che in questi giorni, a vent’anni dalle legge sulla parità scolastica, tutte le paritarie abbiano vinto la sfida di organizzare la didattica a distanza, in tempi brevi, in modo efficace, con gli strumenti adeguati. Certamente, in tempi di coronavirus, le paritarie hanno vinto la sfida di aver fatto ulteriore chiarezza su due punti.
Il primo: il pluralismo educativo è una realtà. E questa realtà risponde al diritto dei genitori ad esercitare la propria responsabilità educativa insieme alla scuola cui affida i propri figli, corresponsabilmente.
Il secondo: forse il Coronavirus, con tutta la sua silente prepotenza, ci ha restituito la verità delle cose in una forma in cui valgono soltanto la conoscenza dei ricercatori e la lucidità dei tecnici. Questo vale a tutti i livelli, vale per le misure di contenimento del virus, vale per la didattica a distanza, vale anche per la politica. Agli insegnanti spetta la riflessione sulla didattica. Ai dirigenti e ai coordinatori spetta organizzare le priorità. Alla classe politica, se questa avesse veramente a cuore il tema della formazione integrale degli alunni e delle alunne, spetta tutelare il diritto delle famiglie nelle scelte di corresponsabilità educativa. Se siamo un paese democratico, fondato sulla libertà (l’unica capace di promuovere la corresponsabilità), a cosa serve un sistema di istruzione che prevede le paritarie senza tutelare concretamente il diritto delle famiglie? Alcuni sostengono che serve soltanto a contenere i costi del comparto statale. E aggiungono che questo sia possibile perché le famiglie che pagano due volte: con le tasse pagano la scuola statale che non hanno scelto e che non frequentano, e con la retta pagano la scuola con cui stringono il patto di corresponsabilità educativa. In pratica si paga una volta per esercitare un diritto, e un’altra perché altri non possano fare altrettanto.
Ci sono poi le questioni su cui il Governo deve da tempo risposte resesi ancora più urgenti in tempi di coronavirus. Cosa si risponde alle famiglie che hanno pagato prima le tasse, poi la scuola, e ora anche baby sitter o l’insegnante privato in estate? Che è giusto pagare due, tre, quattro volte? Cosa rispondere a tutto il comparto delle paritarie?
Eccola, allora, la questione su cui il Governo deve una risposta alla società civile: quale forma di corresponsabilità cerca lo Stato in ambito educativo? può esistere libertà educativa senza libertà economica? Se il sistema dei costi standard consentisse di spendere meglio, attraverso i voucher, la dote scuola, il convenzionamento, non avremmo garantito la corresponsabilità educativa, veramente, e a tutti?
Se il virus sarà servito a convincere gli scettici del pluralismo educativo, della concorrenza che innalza la qualità, della responsabilità dei cittadini e della corresponsabilità Stato-privati, allora forse non sarà stato soltanto una sciagura.
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