Sta creando polemiche e proteste la decisione del presidente della Regione Alberto Cirio di mettere in didattica a distanza le scuole di almeno 700 Comuni lasciando invece in presenza le scuole della città di Torino (ad eccezione, ovviamente delle secondarie di secondo grado).
Flc-Cgil, Cisl-Scuola e Uil-Scuola contestano la decisione di ammettere comunque alla frequenza in presenza gli “alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…), direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali”.
“La Regione – sottolineano i sindacati – anziché indicare quali siano le categorie dei lavoratori definiti ‘key workers’, scarica la responsabilità della scelta sulle autonomie scolastiche, raccomandando ai dirigenti scolastici, nel valutare le richieste dei genitori che rientrano nelle categorie di cui sopra, di tenere conto dell’esigenza prioritaria di non vanificare l’efficacia delle misure di contenimento del contagio”.
Da parte sua l’Usr non ha ancora fornito indicazioni e così le scuole sono in grave difficoltà, tanto che ci sono diversi istituti comprensivi che per la giornata di domani hanno già deciso di sospendere ogni attività in modo da avere il tempo per riorganizzare il proprio lavoro (l’ordinanza regionale, infatti, è stata resa nota nella serata di venerdì mettendo in affanno i dirigenti scolastici e gli insegnanti ma anche le stesse famiglie).
Famiglie e docenti che in alcuni casi stanno anche sottoscrivendo documenti e comunicati per protestare contro un provvedimento considerato quanto meno contraddittorio.
Tre associazioni dell’area di Ivrea (Collettivo Per una scuola aperta, Disleporedia e Gessetti Colorati) sottolineano per esempio una evidente incongruità dell’ordinanza che ha diviso la regione in due grandi zone, in relazione alla diversa diffusione del contagio: in una ci sarà didattica a distanza per tutti, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, mentre in un’altra le restrizioni riguarderanno tutte le classi dal secondo anno delle “medie” in su.
“E così – segnalano le tre associazioni – da lunedì scuole primarie della città di Torino frequentate da 500 alunni potranno continuare a funzionare con lezioni in presenza mentre i piccoli plessi con meno di 50 alunni, numerosi e diffusi in tutto il territorio regionale dovranno chiudere”.
“Non sarà facile – proseguono – spiegare le ragioni di tutto questo ai bambini e alle bambine che in questi mesi sono stati a scuola in modo disciplinato, senza mai dimenticare la mascherina, lavandosi le mani 3-4 volte al giorno e rinunciando ad abbracciare il compagno di banco ‘perché il virus è cattivo e bisogna essere sempre attenti’ (sono parole che ci riportano maestri e maestre che da settembre ad oggi hanno fatto di tutto per garantire un po’ di normalità almeno a scuola). Sarà difficile anche far capire ai bambini e alle bambine che non si può andare a scuola, ma si può invece entrare in un supermercato o in un negozio grande magari meno della metà di un’aula scolastica”.
“Lo scenario che si sta prospettando è inquietante – sostengono ancora i genitori e gli insegnanti del territorio – perché la scuola dovrebbe essere la casa della pedagogia dove ragazzi, ragazze e insegnanti sperimentano forme di socialità responsabile e non un luogo da chiudere perché non si è in grado di farlo funzionare in modo ragionevolmente sicuro”.
“Il rischio – concludono – è che questa visione distorta della scuola permanga anche quando la pandemia sarà finita. Per evitare che questo rischio si tramuti in realtà è però necessario discutere seriamente già da oggi su quale modello di scuola vogliamo. E ovviamente continuare a discuterne anche quando saremo tornati alla normalità”.
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