Da un mese gli insegnanti lavorano da mane sera nello sforzo d’improvvisare una “Didattica a Distanza” (DaD) cui non erano mai stati preparati, e che non è semplice come pensano i mujāhidīn della Vera Fede (quella della tecnologia come panacea di tutti i mali).
Nulla, ancora, si sa dell’esito di quest’anno scolastico. La soluzione più razionale sarebbe una decisione governativa che sollevasse i docenti dall’impossibile compito di decidere lecitamente — nell’emergenza attuale, e in assenza di normativa — promossi e bocciati senza buscarsi decine di migliaia di ricorsi. In altri Paesi (e in Italia in altri momenti storici) ciò è già avvenuto.
Dal canto loro i mujāhidīn della DaD di cui sopra — da sempre entusiasti dell’informatica e convinti che pedagogia, didattica ed empatia siano sostituibili (anche per sempre) con “device”, piattaforme online, videolezioni e via “googlificando” — sono talmente elettrizzati dalle magnifiche sorti e progressive della cultura in video, da non accorgersi nemmeno di ciò che, nella DaD, proprio non funziona.
Non si accorgono, ad esempio, che la DaD non può garantire pari opportunità a tutti gli studenti. Almeno un quarto degli allievi non ha i dispositivi per collegarsi alla rete, mentre il 61% non dispone di un collegamento fisso veloce. Come si può chiamare “Scuola” qualcosa che non è per tutti? Lo permette forse la Costituzione?
Cosa dire, peraltro, degli studenti con disabilità gravi? La Dad non viene affatto incontro, per esempio, alle difficoltà dei ragazzi con autismo; anzi, le acuisce. Nessun problema con gli articoli 2, 3, 33, 34 e 38 della Costituzione? Nessun disaccordo con la Legge 517/1977, con la Legge 104/1992, con la Legge 53 del 2003, con la Legge 170/2010?
E che dire del diritto alla privacy di studenti e docenti, violato dalle webcam e dalla raccolta dei dati necessari per attivare piattaforme come G Suite? Come la stessa Redazione della nostra testata ha scritto pochi giorni or sono, «I dispositivi o device personali, che entrano con un account GSUITE attivato da una istituzione scolastica, vengono considerati aziendali, cioè della scuola, con la possibilità di cancellarne dati ed impostazioni dei device, con la conseguente perdita o smarrimento di dati. Infatti, il problema sta in tutte le altre azioni che è possibile compiere grazie alla gestione dei dispositivi, come l’accesso ai dati dello smartphone, o tablet o pc, ed il loro blocco. Tutto ciò è una indebita gestione, da parte della scuola, di un dispositivo personale dei propri dipendenti e può configurarsi come reato di accesso abusivo sistema informatico o telematico di cui all’art. 615 ter c.p.». Se i nomi degli alunni venissero indicizzati sui motori di ricerca, un malintenzionato desideroso di adescare un minore «lo potrebbe trovare semplicemente scrivendo il suo nome e cognome su internet e da qui finanche scoprire dove abita».
Evidentemente, pur nella certezza che le istituzioni scolastiche osserveranno in tutto e per tutto quanto scritto dal Garante della privacy, i rischi non mancano. Lo dimostrano fatti gravi recentemente accaduti, come l’episodio della videolezione interrotta il 30 marzo da video osceni.
Non si dovrebbero poi ignorare le difficoltà che le famiglie stanno incontrando nel garantire ai propri figli l’uso quotidiano di una postazione internet per molte ore al giorno. Postazione che magari serve ai genitori o ai fratelli dello studente, o che in molte famiglie proprio non esiste.
Non vanno poi affatto sottovalutati i rischi per la salute di studenti e docenti, incatenati per ore e ore allo schermo di un dispositivo elettronico. Conseguenze anche gravi possono derivarne per gli occhi, nonché per l’apparato muscoloscheletrico (soprattutto in momenti di “arresti domiciliari” come l’attuale, in cui non si può nemmeno nuotare o andare in palestra). Che succederebbe se un genitore facesse causa al Dirigente o ai docenti per i danni alla salute di un figlio?
Ma il vulnus più feroce e beffardo che deriverebbe da un’eventuale dichiarazione di “obbligatorietà” della DaD (cui pare il Governo stia pensando), sarebbe quello alla libertà di insegnamento, intesa soprattutto come libertà di scegliere metodi, mezzi e criteri pedagogici (anche per praticare la stessa Dad senza dover scegliere le piattaforme o i software prescelti dal Dirigente o dal MIUR). La libertà d’insegnamento non è un’invenzione dei Sindacati (come qualcuno ha l’ardire di scrivere), ma un diritto costituzionale insopprimibile, che garantisce il pluralismo, e dunque anche il diritto degli studenti di studiare in una Scuola libera dal pensiero unico in ambito disciplinare, contenutistico, ideologico, didattico, pedagogico, politico, religioso.
Molte entità produttive legate alla tecnologia hanno l’acquolina in bocca al pensiero che il Governo colga l’occasione per istituzionalizzare la DaD (e le piattaforme collegate!) come strumento valido anche in tempi ordinari, magari anche ad agosto o — perché no? — di notte. E non pochi sostituirebbero con le macchine persino i docenti. Saprà il nostro Governo resistere alla tentazione di ascoltare il canto di certe sirene (e di “risparmiare” miliardi trasformando la Scuola in telelavoro)?
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