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Didattica a distanza: quando la dad entra in carcere. A colloquio con la prof che insegna ai detenuti

Cosa succede quando la didattica distanza entra in carcere? E come vivono tale nuova esperienza i ragazzi negli istituti di pena, dove avere un semplice contatto con l’esterno è uno struggente bisogno e un desiderio intenso, soprattutto ora che il Covid-19 ha stretto le maglie? Quelle maglie che hanno generato, come si ricorderà, tante rivolte tra i detenuti? Per capirlo meglio, ma sempre nell’abito della nostra rubrica La Tecnica per la scuola, abbiamo parlato con la prof Myriam Scarpa, da otto anni docente di disegno e arte nel carcere di Bicocca di Catania, dove, accanto a una sezione per maggiorenni, c’è  quella per i minori dove appunto la nostra interlocutrice opera. Inserita nell’organigramma del Cpia (Centro provinciale per l’istruzione degli adulti) Catania 1, la nostra prof, prima della epidemia da coronavirus, insegnava a ragazzi dai 14 ai 24 anni, rimasti indietro, come è facile capire, nella istruzione ordinaria, per tutta una serie di motivi, ma che nella nuova dimensione di custodia cercano di recuperare, per quanto è possibile, un minimo di sapere per affrontare, dopo gli anni di pena, la libera vita.

Le restrizioni anche sui ragazzi detenuti

Tuttavia, ci dice, queste restrizioni, dovute al virus, si sono riversate anche su questi ragazzi che, per causa anche della mancanza di educatori e dunque di fondi per il personale necessario, oggi non stanno più facendo lezioni e dunque tutti gli sforzi si stanno concentrando sui pochissimi che voglio conseguire la licenza di istruzione secondaria di primo grado.

La prof Myriam Scarpa 

“Ho allora solo due ragazzi, uno dei quali è straniero, con cui per tre volte a settima, e dalle 9 alle 12, ci vediamo tramite Skype. Del tutto insufficienti i contatti ma, siccome con ciascuno di loro deve stare un educatore e mancandone un numero necessario, non abbiamo altra scelta se non questa”.

Autorizzazioni

Infatti, ci spiega, col tablet possono collegarsi con l’esterno, cosa che non è comprensibilmente ammessa, per cui qualcuno deve vigliare. Ma poi occorrono autorizzazioni, a seguito proprio del loro stato e di ogni possibile permeabilità della struttura stessa.

La mia materia ha bisogno di contatto diretto

“Fra l’altro, quando si è presentata l’emergenza e siamo stati costretti a stare a casa, per qualche tempo l’amministrazione penitenziaria ha avuto delle difficoltà a reperire, non solo gli strumenti tecnologici, ma anche capire come bisogna agire in condizioni tanto delicate. Poi la dad è partita e con essa questa nuova esperienza che però, si capisce anche per la disciplina che insegno, non può mai e poi mai sostituire la lezione in presenza. L’arte e il disegno hanno bisogno di vedere e capire sul luogo della creazione, la pratica, il contatto umano; la mia materia adotta manualità, contorni e tratti, colori dal vivo. Per cui oggi, dietro al video, mi limito a fare storia dell’arte, a illustrare concetti,  spiegare il disegno a distanza senza quel coinvolgimento necessario ed essenziale. Più che a me, la presenza di un docente manca a loro, già bramosi di sentire l’oltre le mura del carcere, l’aldilà delle sbarre. Manca il contattato visivo, la giocosità, lo scambio di ide e di battute. E loro hanno bisogno di annusare persino il profumo d’esterno. Manca il colloquio giornaliero”.

Collaborazione fattiva con tutte le figure del carcere

In ogni caso, precisa la prof  Scarpa, la collaborazione fra tutti i componenti dell’istituto penitenziario è continua e di estrema cooperazione. Allo stesso modo con gli altri colleghi che sono distribuiti fra l’istruzione secondaria di primo grado e di secondo, benché quest’ultima si rivolga essenzialmente alla formazione professionale.

“Ci riuniamo periodicamente con le piattaforme più in uso come Zoom, ma anche Skype e le altre più comuni, coi colleghi e con gli educatori per trovare le strategie più adatte onde non smarrire, oltre al già complesso di questi ragazzi, nessuno di loro, portatore, ciascuno, di una storia particolare, di una vicenda particolare e di una pena particolare. Che però io, né i miei colleghi, vogliamo sapere, né cerchiamo di sapere, non solo nel rispetto della loro dignità di persone ma anche perché il dialogo e l’istruzione non venga influenzato da tali storie che possono essere di ogni tipo, ma sempre purtroppo cosparse di violenza.

“La dad sta dando qualche frutto, sicuramente, ma la lezione in presenza per chi fa scuola, e una scuola in queste condizioni, è insostituibile e irrinunciabile”.

Pasquale Almirante

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