Come abbiamo già riferito, nell’ambito delle indicazioni fornite per l’Istruzione degli adulti con nota 4739 del 20 marzo 2020, il Ministero dell’Istruzione ha anche richiamato l’attenzione sulle scuole in carcere.
In particolare, il M.I. sottolinea la necessità di favorire, in via straordinaria ed emergenziale, in tutte le situazioni ove ciò sia possibile, il diritto all’istruzione attraverso modalità di apprendimento a distanza anche per i frequentanti i percorsi di istruzione degli adulti presso gli istituti di prevenzione e pena in accordo con le Direzioni degli istituti medesimi.
Pertanto, i gruppi regionali PAIDEIA sosterranno i CPIA nell’individuare d’intesa con gli Istituti di prevenzione e pena interessati le modalità più adeguate ed opportune per svolgere la didattica a distanza presso le scuole carcerarie tenuto conto, laddove siglati, anche dei protocolli tra USR e PRAP competenti; particolare attenzione andrà rivolta alle attività in favore dei soggetti sottoposti a provvedimenti penali da parte dell’autorità giudiziaria minorile.
Anna Grazia Stammati (presidente CESP -Rete delle scuole ristrette e docente nei percorsi di istruzione in carcere) ci ha scritto per segnalare come poco si parli, in questi giorni di sospensione delle attività didattiche e di attivazione della didattica a distanza a causa del COVID-19, degli studenti “ristretti”, ovvero di quegli studenti che frequentano i percorsi scolastici in carcere.
Si tratta di un’ampia platea di persone, composta non solo da stranieri che hanno bisogno di essere alfabetizzati, ma anche di giovani e meno giovani italiani (che appartengono spesso a quel 18% di evasione scolastica) che, dentro, continua, per fortuna, il percorso scolastico, tanto nei minorili, quanto nelle istituzioni penitenziarie degli adulti.
I docenti delle scuole in carcere si sono raccolti, da alcuni anni, nella rete delle scuole ristrette ed hanno portato avanti una battaglia incessante per far riconoscere la scuola in carcere quale elemento essenziale dell’esecuzione penale, visto che i docenti, per nove mesi l’anno, hanno un rapporto quotidiano e costante con i detenuti iscritti e rappresentano, per loro, l’unico contatto con il mondo esterno, nel quale, prima o poi, dovranno ritornare.
“Oggi, però, – ci scrive la prof.ssa Stammati – mentre le scuole esterne continuano (tra mille difficoltà e problematiche) il proprio percorso, gli studenti e le studentesse detenute, non hanno più alcun rapporto diretto con i propri insegnanti, se non mediato da materiale cartaceo consegnato tramite educatori o agenti penitenziari che spesso, per le condizioni di invivibilità interna, non potranno essere neppure lette”.
Per questo la CESP-Rete delle scuole ristrette ha scritto una lettera al DAP (e sulla falsariga di questa al MIUR) per richiedere più attenzione ed interventi mirati per i ragazzi e le ragazze in carcere.
I docenti della rete delle scuole ristrette, preso atto della Circolare del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del 12 marzo, nella quale si richiamava l’opportunità, vista l’emergenza COVID-19, di garantire il prosieguo dei percorsi scolastici in carcere e si invitavano i Provveditori Regionali a comunicare ai Direttori degli Istituti Penitenziari degli ambiti territoriali di competenza, di consentire lo svolgimento di esami di laurea, esami universitari, e colloqui didattici tra docenti e studenti detenuti, mediante videoconferenza e/o tramite Skype, hanno ritenuto opportuno predisporre un monitoraggio presso le scuole appartenenti alla rete, che copre un territorio vasto (da Udine ad Enna).
All’indagine ha risposto il 25% delle istituzioni penitenziarie, con percorsi di studio di primo e secondo livello, che hanno fornito i seguenti dati:
È del tutto evidente che l’utilizzo di videoconferenze tramite Skype sia pressocché nullo, per oggettive difficoltà, dovute anche al gravoso impegno che in una situazione emergenziale quale quella attuale stanno sostenendo educatori e agenti penitenziari, ma anche alla mancanza di personal computer, di spazi, di personale addetto.
Ciò però sta evidentemente comportando la lesione di un diritto, qual è quello all’istruzione, che non può che produrre ulteriore e profonda destabilizzazione nella popolazione detenuta, che vede nella scuola in carcere un elemento fondamentale dell’esecuzione penale e ciò ci preoccupa molto, nella consapevolezza dell’importanza che il nostro ruolo riveste nella relazione quotidiana da noi costruita con i nostri studenti “ristretti”.
Per queste ragioni, la CESP-Rete delle scuole ristrette ha chiesto sia alla DAP, sia al Ministero dell’Istruzione di occuparsi del problema.
E in proposito segnala lo scambio intercorso con l’Ufficio Scolastico Regionale della Liguria, il quale ha confermato che anche in Liguria, al momento, l’unica modalità possibile per garantire la continuità dell’attività scolastica è quella dell’invio di materiali didattici da parte dei docenti agli educatori.
Al momento, le scuole di La Spezia si stanno organizzando per utilizzare il canale TV per fare scuola a distanza a beneficio di chi rimane escluso dalla Didattica a Distanza promossa dalle scuole perché privo di connessione. Questa soluzione potrebbe essere seguita anche dalla popolazione scolastica carceraria e infatti il CPIA locale e gli istituti secondari che hanno percorsi di secondo livello in carcere si stanno organizzando.
Questa potrebbe essere un’indicazione da seguire, nella speranza che possa servire per colmare un vuoto che sta comportando danni enormi agli studenti detenuti perché, come si legge anche nella lettera indirizzata agli studenti in carcere: “I disagi e la sofferenza che viviamo non ci devono far dimenticare chi è colpito in prima persona, i tanti morti di cui sentiamo quotidianamente le cifre con il rischio di non considerare che dietro ad esse ci sono persone, storie, affetti che si spezzano; questo virus annulla anche i riti con cui l’umanità ha accompagnato, in modalità diverse nel tempo e nei luoghi, il momento della morte: ancora una volta questa esperienza fa toccare con mano a noi, che siamo fuori del muro, quanto debba essere sconvolgente la lontananza in caso di malattia e l’impossibilità di partecipare ai funerali dei propri cari…”
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