E così è trascorso un mese in questa bolla.
Quelli che stiamo vivendo giorno per giorno sono attimi di sublime novità e, come tutto ciò che è “novus”, disorientano e aprono inaspettati orizzonti allo stesso tempo, ci tolgono qualche certezza, ma prosciugano paludi di consuetudini e immettono acque fresche al nostro corso quotidiano.
La proiezione “fantascientifica” di un apprendimento agito direttamente dal proprio PC, dalla propria scrivania, “confezionato” in base alle proprie misure, si sta concretizzando sotto i nostri occhi, sotto i nostri polpastrelli. Siamo giunti al futuro, ad un punto di non ritorno. Stiamo procedendo verso una nuova scuola. Certamente un giorno si dirà: “I primi tentativi di didattica a distanza furono messi in atto durante una pandemia”. È un presente di attimi. Attimi scanditi dalla connessione intermittente, dall’istante catturato nel messaggio in chat, in un post social, da un annuncio in TV già obsoleto, da nuovi automatismi, da nuove procedure, progressive e fisse, inclusive e stranianti. “Clicca sul link, disabilita il microfono, non la fotocamera, disabilita il microfono e la fotocamera, no, scusa… abilita solo la fotocamera… troppo traffico… Mi vedete? Mi sentite? Non vi vedo, ma vi sento.”
E ci ritroviamo a sorgere “a la vista scoperchiata” novelli Cavalcante de’ Cavalcanti che, drizzati “infino al mento” e angosciati, cerchiamo “dintorno” i nostri alunni connessi, non connessi… Ma non ci lamentiamo, perché noi otteniamo qualche risposta e non abbiamo i piedi in arche infuocate, ma in comode e calde pantofole. Certo, stiamo scontando una pena fisica per contrappasso a dover correggere, giustamente, anche testi di nostri alunni scritti in corsivo e inviati in jpg, dopo che per anni abbiamo snocciolato tante argomentazioni per convincerli dell’importanza della pratica amanuense. Ma ancora di più ci grava la pena di non poter avere con i nostri ragazzi il consueto scambio di saperi cognitivi ed emozionali. Ci consoliamo pensando che almeno, a differenza degli epicurei di Dante, noi conosciamo esattamente il nostro presente, l’unica certezza che ci è rimasta, e ignoriamo letteralmente il futuro, affidato solo alla speranza, al di là di qualunque elaborazione statistica. Per noi è un presente che non sarà eterno, ma che durerà nella nostra memoria per sempre.
Siamo stati catapultati in una dimensione “altra”, sospesa, immobile e chiusa “in quattro mura”, nel perimetro di una scrivania. Eppure, con un tasto ci muoviamo, migriamo in un “oltre” che è esterno a noi ma sempre in un “interno”. Entriamo nelle case dei nostri alunni e loro nella nostra. Filtrata dalle tende delle loro finestre, esplode la luce di giorni più o meno splendenti, che godiamo da dentro, dalla nostra postazione di lavoro, dallo schermo aperto sulla loro postazione, là fuori, come a ricordarci il nostro compito di illuminare il loro cammino di conoscenza, di indirizzare il loro desiderio di risposte anche quando ancora non hanno ben chiare le domande da porsi.
Paradossalmente, lontani dall’aula fisica, dalla possibilità di contatto fisico, insegnanti e alunni ci sentiamo più vicini, più complici, più solidali, o almeno in modo diverso. È sintomatico della cattività cui ci sta costringendo questo virus che ci tiene lontani ma legati insieme.
E gli attimi acquistano una durata perché si riempiono di scoperte e di conferme, di elementi impensati e di relazioni consolidate. La fissità diventa mobile e la sospensione dell’attesa si sostanzia di un “traffico” turbinoso di contenuti, esperienze, emozioni, ci offre un nuovo arricchimento reciproco, una nuova “alleanza” docente – discente, come la definisce la Prorettrice dell’Università degli Studi di Padova Dott.ssa Daniela Lucangeli.
La tecnologia ci sta dotando di uno strumento alternativo di mediazione, per continuare ad essere adulti significativi per i nostri alunni, forse anche in modo più potente, perché ci consente di essere dedicati a ciascuno di loro in modo personalizzato e alla classe in toto allo stesso tempo.
La tecnologia sta esorcizzando, in qualche modo, la frustrazione della distanza e sta insegnando a tutti l’adozione di punti di vista diversi, l’adattamento, la flessibilità. Sta oggettivando l’importanza della relazione umana: “Ragazzi, ci siete? Ogni tanto fate un respiro sonoro, perché possa sentire meglio la vostra presenza e non per ragioni istituzionali”.
E si ride insieme, ironizzando più del solito, perché qualcuno più Nerd di altri (insospettabilmente anche tra noi docenti) apprezza particolarmente la modalità a distanza, si sente a suo agio nell’interfacciarsi con lo schermo, non solo respira, ma interviene, pure efficacemente. E come non riconoscergli il merito?
Un insegnamento – apprendimento “in scatola” direbbe Eco, parafrasando un punto di vista sulla musica elettronica da lui discusso nel lontano 1964. È come suonare attraverso un sintetizzatore piuttosto che con le cavate e il rapporto “organico” con un violino, ma, se si trasmette comunque un pensiero, passione e si crea la giusta empatia con gli interlocutori, il concerto risuona alto.
Ad un primo momento di smarrimento, in cui avevamo, forse, l’impressione di parlare da soli, si è sostituita progressivamente una sempre maggiore familiarità con uno scambio di saperi diverso. Certamente più lento (strano, ma abbiamo capito che tutto si regge sul paradosso), perché l’immediatezza del rapporto diretto non potrà essere replicato da nessuna diavoleria informatica, ma comunque fortemente emozionale per il vissuto in cui si colloca e, quindi, formativo.
E, se anche sussiste il rischio di non poter garantire a tutti gli allievi le stesse opportunità, l’impegno di chi ci mette il cuore oltre che l’ingegno si attiva a raggiungere il singolo, a personalizzare l’intervento perché le opportunità non si traducano solo in risorse materiali, ma siano soprattutto risorse umane.
Quando ci prepariamo di tutto punto per fare le videoconferenze è perché ci mettiamo la faccia, è perché anche attraverso il nostro sguardo, la nostra gestualità i nostri alunni possano apprendere. Se non ci vedessero appassionarci, come potrebbero comprendere profondamente l’amore-odio di Dante per la sua Firenze, l’invettiva contro gli odi di parte, le divisioni, la superbia, l’invidia, l’avarizia dei suoi, dei nostri tempi?
E discutiamo, ci confrontiamo, impariamo “passeggiando” insieme idealmente e rimandando le passeggiate reali a quando potremo vivere fuori quello che stiamo metabolizzando dentro.
Paola Scarpa