I lettori ci scrivono

Didattica a distanza, un ottimo strumento ma non diventi un’abitudine

Il nuovo modo di fare scuola che stiamo sperimentando, a tutti i livelli dell’istruzione, si è rivelato un prisma a più facce: sta mantenendo una continuità tra docenti ed alunni, non soltanto sul piano dell’informazione strettamente scolastica ma anche su quello psicologico ed emozionale; sta aiutando il mondo degli studenti a non sentirsi dimenticato, a non pensare di essere l’ultimo anello della catena sociale danneggiata da quest’emergenza, che deve far fronte a problemi più immediati. Inoltre ha costretto docenti ancora poco abili nell’informatica a mettersi in gioco, a sperimentare strategie alternative ed innovative che stanno dando sicuramente  i loro frutti.
Passando poi alla componente genitori, c’è da dire che quando non hanno usato quest’ennesima occasione per ergersi a paladini protettori dei figli, nascondendosi ai lati della telecamera e suggerendo loro persino cosa dire all’insegnante, molte madri volenterose hanno colto l’occasione per informatizzarsi,per acquisire maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali.

La tecnologia è entrata con invadenza in molte mura domestiche che fino ad ora la ignoravano o quasi, e pur avendo creato spesso tensioni e scompigli familiari, ha aperto nuovi orizzonti e nuovi scenari.

Altra faccia di questo prisma è quello dei genitori “curiosi”: non nel senso negativo del termine, ma con riferimento a chi mostra curiosità di imparare e di fare nuove esperienze culturali; c’è chi in maniera discreta,in disparte, rimane nella stessa stanza del figlio al solo scopo di ascoltare con interesse una videolezione, perché ha scoperto  argomenti di storia, di scienze o di letteratura che possono colmare ataviche lacune, rispondere a vecchi interrogativi risalenti all’età dei banchi di scuola, o, in certi casi più gravi, svolgere una modesta alfabetizzazione a favore di chi ancora soffre di conclamata ignoranza (e non sono pochi, ahimè). Non c’è da escludere che questa didattica a distanza, improvvisata e decollata tra mille difficoltà in un’Italia attualmente così prostrata, diventi senza volerlo una nuova edizione della televisiva “Non è mai troppo tardi”.  E se così fosse, ben venga.

Attenzione, però: guardiamoci bene dal fare abuso di uno strumento solo perché ha funzionato positivamente in un una particolare circostanza: cerchiamo di non farci irretire da artificiose illusioni di una scuola futura che possa ottimisticamente funzionare in questo modo; sarebbe come un paziente, a cui sia stato somministrato durante una malattia un farmaco efficace, che continuasse a prendere tale farmaco ad libitum anche dopo la guarigione.

La scuola non è solo dialogo e interferenza tra alunno e docente: è anche dialogo e interferenza tra coetanei, anzi, ancora prima è costruzione di convivenza civile, di rispetto delle regole comunitarie, è scuola di vita e formazione del cittadino; è tutto ciò che si è arrivati sapientemente a chiamare Cittadinanza e Costituzione, e che non si costruisce di certo nella solitudine di un alunno davanti allo schermo di un computer; nemmeno se dall’altra parte c’è il docente più bravo e coinvolgente, capace di usare le migliori strategie didattiche.

Appaiono decisamente allarmanti, per non dire anacronistiche e avulse dalle finalità scolastiche, certe ipotesi che si sentono circolare sul prossimo settembre; il rischio che stiamo correndo – e chissà se siamo davvero in tanti ad averlo capito – è che la tecnologia dilagante crei nelle nuove generazioni una sorta di delirio di onnipotenza: davanti a un computer tutto diventa possibile, nessun essere umano è insostituibile; oggi di fronte ad uno schermo le possibilità di conoscere e di imparare sembrano amplificarsi, appaiono infinite e fanno ingannevolmente credere ad un adolescente che il mondo sia suo, lì, tutto pronto, a portata di mano. E così pensando lo studente non si accorge di avere perso la dimensione sociale e collettiva della conoscenza.

A scuola si sbaglia e si impara insieme, in un’aula che diventa teatro di esperienze formative, di vittorie alternate a fallimenti. Teniamo bene a mente le parole di Philip Roth ne “Il professore di desiderio”: Amici miei, tenetevi cari questi momenti ! Perché? Perché una volta usciti di qui accadrà di rado, se non mai, che qualcuno vi parli o vi ascolti nel modo in cui vi parlate e ascoltate tra voi e con me in questa stanzetta  spoglia e luminosa.

 

                                                                           Nadia Ubaldi

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