La didattica a distanza, in tempi di Coronavirus, rappresenta l’unica possibilità di dar seguito al percorso scolastico e mantenere viva la comunità, sperando in un non lontano ritorno alle modalità consuete. Per alcuni opportunità, per altri pillola da digerire, essa sicuramente va guardata col necessario realismo, e soprattutto con onestà intellettuale e coraggio dell’azione.
Tre aspetti non è possibile eludere: il primo di ordine sanitario, tanto negletto quanto prioritario. La didattica a distanza, per come viene istituzionalmente promossa, contempla il ricorso a connessioni di tipo wireless, che la letteratura scientifica ha ampiamente riconosciuto come altamente rischiose per la salute pubblica, e dei bambini in particolare, sia in termini di effetti termici che biologici.
Ignorarlo vuol dire abdicare alla tutela del diritto alla salute di allievi e operatori scolastici, e al dovere di garantire la sicurezza e salubrità degli ambienti educativi. Significa inoltre, in tema di scuola inclusiva, escludere tutti gli studenti elettrosensibili, impossibilitati alla frequentazione per la presenza di connessioni wi-fi e dispositivi collegati. L’elettrosensibilità è una patologia altamente invalidante nei casi più gravi e che, pur non essendo ancora riconosciuta in Italia se non nella regione Basilicata, è in costante e preoccupante aumento.
Il secondo aspetto riguarda l’effettivo sostegno che la didattica a distanza può fornire in questa fase critica. Docenti e famiglie lamentano serie difficoltà nella gestione. Si sperimenta un sovrautilizzo degli strumenti digitali con grande dispendio di tempi e energie, e con maggiore problematicità con riferimento agli alunni della primaria. In quest’ultimo caso i bambini sono costretti a un cospicuo ricorso a dispositivi digitali, assolutamente sconsigliabile con riguardo sia alla salute, sia alla crescita cognitiva, psichica ed emotiva.
I genitori non gradiscono, e si trovano inoltre caricati di un compito di squisita pertinenza scolastica per il quale sono impreparati, peraltro in un momento già di elevata tensione.
Fortemente auspicabile prevedere con immediatezza il cablaggio degli istituti scolastici, per dar seguito nel modo più opportuno al potenziamento delle infrastrutture comunicative previste dal decreto Cura Italia, garantendo connessioni rapide e condizioni di sicurezza.
Auspicabile anche che il buon senso governi questa fase transitoria e anche quella che le succederà, per custodire una scuola fatta di persone, passioni, vocazioni, problemi da superare insieme e traguardi da festeggiare l’uno di fronte all’altro. Come ci ricorda appropriatamente il saggio Manzoni “il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.
Terzo, dolentissimo aspetto, l’avanzata del 5G, standard di quinta generazione per l’Internet delle Cose. Che avrà come tragica conseguenza anche la “cosalizzazione”, mi si passi il termine, della scuola, nel contesto di una deriva transumanista tanto pervasiva quanto incompresa. Tragiche conseguenze, le peggiori immaginabili, anche in tema di salute. Non è questa la sede per approfondimenti in merito, ma deve esser chiaro che, se il 5G entrerà negli istituti scolastici, essi diventeranno drammaticamente dei luoghi da fuggire per i nostri figli. E su questo deve esistere massima consapevolezza dal momento che la quarantena nazionale sta consentendo istallazioni diffuse e indisturbate.
Usiamola, dunque, questa didattica a distanza (ossia mandiamo in tilt le chat di WhatsApp e la memoria del telefono), seguiamo i nostri ragazzi per simulare una continuità, e un po’ mantenerla per davvero; ma conserviamo lucidità, senso della misura; preserviamo la dignità della scuola, l’etica dei comportamenti e delle scelte. Che il discernimento sopravviva all’isolamento.
Annalisa Buccieri
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