Per come stanno ad oggi le cose, l’attribuzione di voti a prove di verifica separate, ed il loro conseguente inserimento nel registro elettronico con funzione certificativa è a nostro parere comunque sconsigliabile.
A parte le perduranti incertezze normative (si è in attesa delle Ordinanze previste dal Decreto Legge n. 22 dell’8 aprile 2020), lo è soprattutto per motivi di carattere didattico-pedagogico.
Le prove somministrate agli studenti a distanza, soprattutto se costruite in modo “classico”, sono infatti: a) viziate da scarsa o non garantita attendibilità e b) da problemi di equità (gli studenti non le affronterebbero partendo dalle stesse condizioni di accesso alla didattica); c) si collocano inoltre in un contesto nel quale sono crollati, per l’eccezionalità della situazione, i principali punti di riferimento a cui si sono riferiti nel tempo i docenti, nella loro esperienza valutativa e, soprattutto, gli alunni, nella loro esperienza di studio.
E questo può creare scompensi che l’ansia aggiuntiva della prova di verifica, effettuata in modalità ed in un contesto emotivo del tutto nuovi (talvolta contrassegnato da una inaspettata apatia), può solo acuire, generando differenze –e spesso cali- di prestazione rispetto agli standard precedenti.
Raccogliere “evidenze”
Che fare allora? In termini didattico-pedagogici, la valutazione dovrebbe basarsi, più che su singole prove separate, sul percorso di apprendimento complessivo dell’allievo in un certo arco di tempo (ogni due settimane, per quel che rimane, ovviamente), in modo olistico e attraverso una molteplicità di elementi: gli elaborati che ha postato, i suoi contributi in una discussione, le elaborazioni che ha effettuato sulle informazioni in ingresso, i dubbi che ha espresso, gli approfondimenti che ha svolto, i suoi interventi su un tema, le sue autocorrezioni, il suo metodo di lavoro, e così via. Con un occhio puntato soprattutto sui processi più che sui prodotti in sé.
Fra questi elementi ritroviamo anche evidenze emerse dalle prove di verifica somministrate con valenza formativa agli alunni, almeno lì dove se ne ravvisino sufficienti elementi di attendibilità. Si dovrebbe puntare, insomma, a valutare la qualità di un trend complessivo e su una pluralità di indicatori e di situazioni di aprendimento significative, più che a focalizzarsi su prestazioni legate a singole prove di verifica, con i limiti “congiunturali” di cui s’è detto.
Se si è fatta e si sta continuando a fare una adeguata valutazione formativa, si potrà già contare su un enorme numero di elementi e di evidenze su cui costruire una idea complessiva della qualità del percorso effettuato dallo studente.
Sì alle osservazioni sistematiche
Il ruolo di strumento di verifica e monitoraggio portante andrebbe affidato alle osservazioni sistematiche più che a singole prove a cui attribuire una particolare cogenza formale e certificativa (come si tende a fare normalmente, con tanto di media aritmetica ricavata dai risultati emersi). Il voto attribuito a singole prove risulta pertanto, in queste condizioni, un atto forse comodo ed evocatore di una rassicurante e nostalgica “normalità”, e lo si capisce, ma non didatticamente e pedagogicamente molto fondato.
Meglio un giudizio analitico periodico effettuato sulla base di tali osservazioni “spalmate” su tanti aspetti e contributi dell’allivo, osservazioni rese peraltro più semplici proprio dal fatto che la DAD contribuisce a “fermare” in forma scritta, dell’alunno, più di quanto non consenta la normale didattica in presenza. Il docente avrà così a disposizione una sorta di “portfolio” o, per meglio dire, di dossier dal quale ricavare i più importanti elementi valutativi sugli apprendimenti. Una ricchissima messe di informazioni.
Il docente specifica gli indicatori
Fermo restando una valutazione formativa tempestiva (con feedback ampio ed orientante offerto subito dopo la situazione formativa o prova che si è determinata), l’insegnante potrà comunicare allo studente (e alla famiglia) come questi è andato in un determinato periodo, specificando gli indicatori su cui si è basato.
Indicatori che, beninteso, dovrebbero essere ri-definiti (attentamente) dal dipartimento, per quanto riguarda la singola disciplina o ambito disciplinare, e ri-definiti (attentamente) dal Collegio, per quanto riguarda gli aspetti più trasversali e generali (impegno, metodo, partecipazione, ecc.). Una ridefinizione di dimensioni e indicatori valutativi che dovrà essere coerente, pena il crollo di tutta la struttura valutativa, con la ridefinizione (riduzione, distillazione) degli obiettivi di apprendimento disciplinari.
La scuola che verrà
Le delucidazioni sulla valutazione di fine anno, come altre sull’avvio del prossimo a.s., sono frutto del lavoro svolto da un team di esperti della Tecnica della Scuola, autori del progetto di revisione didattica e organizzativa del primo e del secondo ciclo di istruzione, denominato La scuola che verrà.
L’iniziativa è stata presentata in questi giorni alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, alla task force ministeriale, presieduta dal professor Patrizio Bianchi, che sta gestendo l’emergenza Coronavirus sul fronte dell’istruzione nazionale, e a tutte le componenti della scuola.
Nel documento realizzato dai nostri esperti Anna Maria Di Falco, Salvo Impellizzeri, Giovanni Morello e Fiorenza Rizzo, vengono spiegati i motivi per i quali nella fine dell’anno scolastico in corso, ad esempio, bisognerà valutare – ovviamente passando per gli organi collegiali – soprattutto lo sviluppo delle competenze chiave dello studente nel suo percorso complessivo: la strada se seguire, quindi, è quella di andare oltre alla mera considerazione delle sole singole prestazioni nelle prove di verifica.