Cos’è la didattica attiva? A cosa serve? Perché abbandonare la classica lezione frontale? Si tratta di un approccio diverso, che mira rendere l’alunno protagonista responsabile e partecipe dei processi di apprendimento e non mero “bersaglio”. VAI AL CORSO
L’obiettivo di una lezione attiva, in altre parole, è quello di implementare in termini quasi sperimentali e pratici dei contesti di apprendimento orientati non all’accumulazione di conoscenze ma all’integrazione di queste entro esperienze di apprendimento coinvolgenti e personali, creative e responsabili per le quali l’alunno cresce e cresce il suo livello di autonomia nella rielaborazione dei contenuti e delle abilità acquisiti.
Interazioni dinamiche, animazioni, role-playing, attivazioni del corpo, cooperative learning: queste le tecniche che un insegnante può introdurre nelle sue lezioni per sollecitare parti diverse del cervello, alzando il livello di attenzione e di curiosità dell’alunno, stimolando il sistema nervoso e riducendo i momenti in cui la sola parola monocorde produce pensieri fluttuanti e vaghi. Mappe e tecniche che provengono dalla psicologia sociale, dalla neurobiologia interpersonale e dalla pedagogia attiva.
Il ruolo del docente, in questo contesto, si “riduce” a quello di facilitatore dell’apprendimento, di mediatore, che si pone in mezzo, tra gli alunni e le possibili difficoltà che questi possono incontrare lungo il percorso dell’apprendimento. L’insegnante, insomma, resta un passo indietro, per intervenire solo laddove necessario a reindirizzare l’alunno, il quale resta il protagonista assoluto dei processi apprenditivi.
Le didattica attiva trova le sue radici pedagogiche in John Dewey, secondo cui la pedagogia attiva deve orientarsi al metodo e alla prassi didattica, puntando a sviluppare nei bambini e nei ragazzi un approccio critico e consapevole al sapere, all’apprendimento, alle competenze. Approccio critico che altro non è che indagine tramite esperienza, capace di stimolare un’intelligenza prettamente (ma non solamente) operativa.
Insomma, la pedagogia attiva è quella che si lega alla ricerca psicologica su apprendimento e sviluppo; quella in cui l’insegnante è facilitatore nel processo di scoperta del fanciullo, non più colui che trasmette le conoscenze; quella in cui l’educatore opera a partire dai bisogni del fanciullo, per accompagnarlo nell’esperienza dell’apprendimento in chiave sperimentale, di ricerca, di indagine.
Su questi argomenti il corso La lezione attiva, di Pino De Sario, in programma dal 15 settembre.
Nell’ambito dei metodi attivi, la strada maestra – sperimentata dal formatore in centinaia di situazioni – prevede come elementi centrali le interazioni dinamiche, le piccole animazioni e i mini role-playing, le attivazioni del corpo, il cooperative learning, tutte tecniche semplici che un insegnante può introdurre gradualmente nelle sue lezioni.
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