Lo segnala “MilanoToday”, ma anche “Repubblica”: sebbene la “pax telematica” domini le scuole, nel cuore della “capitale morale” d’Italia esplode la protesta degli studenti contro la “DaD”. La Scuola non si può fare solo coi computer: lo affermano perentoriamente gli studenti del centralissimo Liceo Statale “Virgilio” di Milano (mezz’ora a piedi dal duomo), che il 22 dicembre hanno inscenato una contestazione difficile da ignorare, organizzando dibattiti e tavoli di lavoro nella piazza davanti al Liceo. “No DaD day”, l’hanno chiamata. Ragazzi e ragazze chiedono di poter finalmente tornare in classe, chiudendo lo stillicidio delle interminabili ore quotidiane passate davanti ad uno schermo per colloquiare coi professori. Chiedono apertis verbis per qual motivo non sia mai stata presa seriamente in esame la possibilità d’investir subito miliardi sulla scuola per aumentare cattedre e classi onde diminuire il sovraffollamento nelle aule. Stigmatizzano la mancanza di volontà politica in proposito, lamentando il fatto che «La Scuola non è nella lista delle priorità» e che per questo li si costringe alla DaD. Accusano la DaD stessa di “inefficienza sociale e didattica”; accusano le scelte governative «di lasciare la cultura come ultimo settore in cui investire”; deplorano l’instabilità delle connessioni e la conseguente perdita di parte delle lezioni. Problemi «non considerati», sostengono, «a scapito della nostra istruzione».
«La DaD non è Scuola, ma l’ha sostituita»
«Nei tre mesi estivi il Ministero e il Governo avevano il tempo e il dovere di rimediare a questa situazione, permettendo l’istruzione a tutti, ma non l’hanno fatto», incalza uno studente. «Gli spazi non mancano per aprire più classi ed eliminare le classi pollaio: manca la volontà politica di spendere per il futuro e per l’istruzione». E una studentessa aggiunge: «La DaD ha sostituito totalmente la Scuola, riducendola al programma ministeriale e ai voti alle interrogazioni, e tagliando via la parte fondamentale, cioè la socialità. Nulla si è fatto per ridurre il sovraffollamento sui mezzi pubblici. Si è preferito rimediare chiudendo le scuole». «Quand’anche la DaD funzionasse bene», soggiunge il primo ragazzo, «il fatto di far lezione dalla propria camera, un quarto d’ora dopo esserci svegliati, ci deconcentra e ci fa perdere gran parte delle lezioni e dei ragionamenti».
La protesta dilaga nei migliori Licei di Milano
Proteste analoghe in quasi tutte le scuole meneghine, specie negli istituti “storici”: al “Berchet” (tra i primi nella classifica Eduscopio 2020 dei migliori licei classici statali milanesi, e riconosciuto nel 2011 dall’Unesco come migliore Liceo italiano), all’”Einstein“, al “Parini” (celebre per lo scandalo suscitato nel 1966 dall’inchiesta del giornale studentesco “La zanzara” sulla sessualità giovanile). Al “Volta” è stato concesso agli studenti di portare banchi e sedie fuori dalla scuola, per seguire da lì le lezioni a distanza.
«Fortunato chi ha voglia di protestare, perché non si è arreso»
Ciò che colpisce, di questa protesta, è anche la città in cui si sta sviluppando maggiormente: il capoluogo della regione più colpita dalla pandemia.
Pochi, ad accompagnare la contestazione studentesca, gli insegnanti. A Milano una docente più sensibile risponde alle domande di Sara Bernacchia, della redazione milanese di “Repubblica”: e definisce “fortunati” quegli studenti che hanno voglia di protestare, «perché sentono il bisogno di riunirsi e si organizzano, ma molti ragazzi questo bisogno non lo sentono più, si sono lasciati andare. È questo il danno maggiore provocato dalla pandemia sulla scuola, al di là dell’aspetto didattico».
Tra la rassegnazione di alcuni e l’opportunismo di altri
Ma forse, più che dalla pandemia, il virus dell’abulia e della rassegnazione è stato inoculato nelle vene di tutti (studenti e docenti compresi) da 30 anni di politiche antiscolastiche, di definanziamenti e di aziendalizzazione, che in una scuola tutta a distanza troverebbero la propria più completa realizzazione. Tra gli studenti che non protestano, d’altronde, non pochi vedono nella DaD la possibilità di farla franca e di passare anche quest’anno senza studiare (con la complicità di non pochi adulti, come abbiamo dimostrato in un precedente articolo). Tra i docenti — come provano certi commenti su Facebook ai nostri articoli critici verso la DaD — non pochissimi (benché in minoranza) trovano “comoda” questa modalità di insegnamento, forse perché illusi di lavorare “meno” tra le mura domestiche e di non esser minacciati dal rischio che un giorno i computer li sostituiscano del tutto.
Ma le TV parlano solo di CoViD
Di questa protesta, comunque, i media nazionali non sembrano essersi accorti. Eppure esiste da mesi. A Torino, a Milano, a Ravenna, a Monza, a Mantova, a Roma. Il movimento si è dato anche un nome: “School for future” (eco del movimento “Fridays for Future” di Greta Thunberg, eclissato dal ben più “telegenico” CoViD-19).
L’Italia di oggi ha però ben altre priorità che la Scuola. Per esempio, quella di autoconvincersi che tutti i problemi si risolvano con un tocco sullo schermo di un “device”. Molti ragazzi tuttavia, malgrado l’indifferenza degli adulti, hanno cominciato a svegliarsi. Il futuro del Paese sono loro. Non la tecnologia fine a se stessa, né chi ciecamente crede alla relativa tecnicistica ideologia.