Sarà perché siamo convinti che — come diceva Nando Mericoni (alias Alberto Sordi) – «gli Americani sono forti»: fatto sta che noi Italiani, per far “Didattica Distanza” in tempo di COVID, abbiamo consegnato la Scuola pubblica nelle mani di Google, Microsoft (malgrado il comportamento di ambedue nei confronti del fisco, italiano e non solo) e pochi altri. In Germania, invece, questo non è accaduto.
Sul sito del Governo Federale tedesco si legge: «Il Patto digitale per le scuole prevede un finanziamento federale di cinque miliardi di euro per la creazione di infrastrutture di apprendimento digitale in tutte le scuole generali e professionali della Germania. In vista della pandemia di coronavirus, il governo federale ha ulteriormente aumentato i finanziamenti: altri 500 milioni son previsti nell’ambito del Programma d’azione immediata per l’acquisizione di terminali digitali per gli alunni bisognosi. Le autorità scolastiche sono responsabili dell’acquisto e del prestito dell’attrezzatura agli alunni. Inoltre, il governo federale fornisce altri 500 milioni col proprio stimolo economico e il proprio pacchetto futuro. In questo modo si intende ampliare gli investimenti ammissibili al Patto digitale e finanziare la futura partecipazione della Confederazione alla formazione e al finanziamento. Compreso il contributo proprio degli Stati, pari al 10%, un totale di 6,6 miliardi è quindi disponibile per gli investimenti nel Patto digitale».
Eppure anche la Germania di oggi si ispira a principi economici neoliberisti. Però non appalta la Scuola al privato né a capitali stranieri. Facendo un giro sui siti web tedeschi gestiti dalla mano pubblica, ci si accorge che lo Stato federale tedesco si occupa molto di Scuola e Università. Il sito che presenta il Paese all’estero non tratta solo di turismo (come il corrispondente sito italiano), ma parla anche molto di istruzione, e di didattica digitale. Il tema, evidentemente, è sentito come strategico per l’interesse collettivo della nazione, e non viene affatto affrontato solo sul sito web del Ministero federale dell’istruzione e della ricerca. Dove, peraltro, non si trovano inviti ad usare Google Suite for Education e Office 365 Education A1 come piattaforme per la DaD; inviti che campeggiano invece nel corrispondente sito ministeriale italiano (senza alcun cenno alla già esistente e funzionante piattaforma pubblica italiana, cui abbiamo dedicato un precedente articolo).
Si dirà che l’Italia non curi altrettanto la (pubblica) istruzione perché meno ricca dell’opulenta Germania: ma non sarà che è meno ricca proprio perché non cura altrettanto l’istruzione pubblica?
Google: azienda privata statunitense il cui capitale azionario ammonta mille miliardi di dollari. Un’azienda così ricca che potrebbe fare una guerra e vincerla. A noi comuni mortali sembra di usare la sua piattaforma gratis; ma in realtà siamo noi che le abbiamo ceduto gratis i nostri dati. Dati che permettono alla multinazionale di profilare studenti, famiglie e docenti, gestendo le relative informazioni per vendere spazi pubblicitari mirati in base alle informazioni stesse. Infatti, come Google stessa ammette («Il pagamento dipende dal numero di volte in cui un annuncio viene guardato o toccato»), i dati — benché non venduti terzi — sono usati per offrire spazi pubblicitari realizzati in base alla profilazione degli utenti. Google, insomma, coi nostri dati crea di ciascuno noi un profilo e lucra vendendo spazi pubblicitari individualizzati (e perciò particolarmente efficaci).
Ebbene, l’italiano medio non sembra meravigliarsi più di niente; vive, apparentemente, in un perenne limbo di calcio, televisioni oppiacee, tatuaggi, festival pseudomusicali, social media ove si ciarla su ogni argomento (specie su quelli ignorati), giudizi taglienti su tutto e tutti (specie sugli insegnanti dei propri figli). Un popolo — tranne moltissime lodevoli eccezioni — dimentico di sé. Una folla anonima di sazi consumatori (in)soddisfatti e litigiosi, che paiono considerare la cultura una tortura per i propri figli, e la Scuola una naia. Gente ridotta così può solo bearsi dei paradisi artificiali offerti dai miliardari americani. Molti commenti leggibili sui social sembrano confermare purtroppo questa analisi.
Tuttavia proprio in una situazione consimile, forse, un Docente degno di questo nome non dovrebbe compiacersi di contribuire inconsapevolmente (mentre insegna!) al processo di mutazione antropologica del cittadino in consumatore. O almeno, non opponendosi a questo processo, ogni docente dovrebbe esser consapevole di starsi scavando la fossa come educatore e insegnante: sì, perché il consumatore vuol consumare, non certo apprendere; e sostituirebbe volentieri il docente con lo schermo del proprio telefonino (cosa che permetterebbe allo Stato di risparmiare tanti bei miliardi da destinare altrove).
È questa la differenza più rimarchevole tra Italia di oggi e Germania. L’Italia, rinnegato il proprio passato migliore, tagliate le proprie radici, smarrita la propria identità, avanza senza saper dove, come un atleta brillo che cammini di notte, bottiglia alla mano. La Germania, rinnegato il proprio peggiore passato, non disconosce sé stessa, e guarda avanti, attenta a dove mette i piedi: attenta a salvare la Scuola.
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