Sbaglia chi pensa che il libro sia uno strumento formativo superato: va considerato una tecnologia, come lo è un computer o una Lim. A spiegare perché è Roberto Maragliano, pedagogista, già ordinario a Roma Tre ed esperto di nuove tecnologie in ambiente formativo: nel corso di un’intervista rilasciata alla Tecnica della Scuola, spiega perché.
Professore, quali sono i problemi connessi alle tecnologie applicate alla didattica?
Sono problematiche complesse, non riassumibili con una formuletta. Partiamo dal concetto che il libro è una tecnologia, quindi scegliere il libro come alternativa al mondo esterno, dominato dalle cosiddette nuove tecnologie, vuol dire comunque fare una scelta tecnologica. Io penso che la scuola abbia bisogno di aprirsi alla varietà delle tecnologie, che comporta una varietà dei contenuti, dei saperi e delle modalità didattiche. È chiaro, però, che la tecnologia digitale mette in discussione degli aspetti di organizzazione dell’attività didattica.
Non è quindi un problema solo di risorse?
No. È soprattutto un problema di mentalità, di cultura, di contenuti, di curricoli, di atteggiamento dei docenti. E, più in generale, è un limite della cultura della nostra società.
Cosa potrebbe fare il ministero dell’Istruzione?
Intanto, avere un atteggiamento più aperto nei confronti del mondo esterno alla scuola e fare un’azione di promozione, anche a livello degli intellettuali e universitari, che permetta di rendere meno drammatico e angoscioso il rapporto con l’universo odierno dominato dalla Rete, dalla multimedialità e dalle tecnologie digitali.
I docenti però negli ultimi anni hanno fatto dei passi avanti?
Ci sono dei docenti che hanno seriamente, intelligentemente, anche con uno spirito necessariamente ludico, accettato il rapporto con le tecnologie digitali. Ora, bisognerebbe che coloro che hanno fatto questa scelta, potessero essere messi nelle condizioni di poter mantenere questo atteggiamento: bisognerebbe costruire delle zone ‘franche’ all’interno delle scuole, dove la nuova tecnologia possa essere quello che effettivamente è, senza essere ridotta ai meccanismi della vecchia tecnologia.
Il rapporto tra docente e studente nativo digitale è complesso: quali consigli può dare agli insegnanti per migliorarlo?
Quelli del dialogo, dell’apertura, del conoscere quali sono i meccanismi della produzione e riproduzione culturale nel mondo circostanze. Quindi, occorre sapere cosa c’è nella testa dei ragazzi. Perché è da lì che bisogna partire. Questi ragazzi non sanno scrivere, tutti lo dicono, in parte lo posso anche confermare; tuttavia non conoscono una determinata forma di scrittura, però praticano la scrittura quotidianamente e in ogni momento. Perché con il loro telefono cellulare sono sempre dentro questa dimensione. E allora, bisogna capire che rapporto c’è tra la loro scrittura e quella di tipo scolastico. È lì che bisogna mettere la testa e lavorare: nel rapporto fra informale e formale.