Si parla molto di didattica inclusiva, ma, nel concreto, cosa la distingue dalla didattica “tradizionale”?
Probabilmente non c’è una “risposta giusta” anche perché non esiste, per fortuna, un’unica soluzione e la stessa ricerca pedagogica, per tutto il Novecento ha formulato proposte anche molto diverse fra di loro.
Risposte, però, che sono univoche su un punto importante: c’è vero apprendimento soltanto quando il soggetto che apprende è motivato e attivo.
Poi le risposte divergono proprio su cosa si debba intendere per motivazione e su cosa voglia dira davvero essere “attivo”.
Uno degli aspetti più interessanti da approfondire è quello che riguarda la cosiddetta “lezione frontale” che, ormai, non ha molto a che vedere con la lezione ex-cathedra ancora pienamente in uso fino alla metà del secolo scorso e resa di fatto “obbligatoria” dall’elevato numero di alunni per classe che rendeva praticamente impossibile altre forme di rapporto fra studenti e docenti, soprattutto nella scuola secondaria.
Certamente la lezione frontale “moderna” prevede spesso una qualche forma di partecipazione degli studenti ma purtroppo si tratta di ben poca cosa rispetto alla didattica attiva in cui gli studenti sono i veri protagonisti.
Resta il fatto che anche nel PNRR si parla chiaramente della necessità di “accompagnare la transizione digitale della scuola italiana, trasformando le aule scolastiche precedentemente dedicate ai processi di didattica frontale in ambienti di apprendimento innovativi, connessi e digitali e potenziando i laboratori per le professioni digitali”.
Tralasciando il riferimento al “digitale” su cui molto ci sarebbe da dire, va detto che la didattica frontale resta pur sempre un modello povero che non favorisce più di tanto l’interazione fra pari che è invece una delle leve principali dell’apprendimento.
D’altra parte, come scrive il noto pedagogista Mario Comoglio, “il vero apprendimento si verifica solo quando colui che apprende è coinvolto in modo attivo e profondo, cioè solo quando chi apprende si impegna nel processo attivando una serie di azioni come richiamare le conoscenze già acquisite, elaborare, trasformare e ricostruire conoscenze, applicare tali conoscenze in altri contenuti e in contesti reali, e altro”.
Parafrasando un vecchio detto di Confucio, il “Credo” dell’apprendimento attivo è: “Se ascolto, dimentico”, “Se ascolto e vedo, ricordo poco”, “Se ascolto, vedo e pongo domande o discuto con qualcun altro, comincio a comprendere”, “Se ascolto, vedo, discuto e faccio, acquisisco conoscenza e abilità”, “Se insegno a un altro, divento padrone”.
Di tutto questo si parla anche nella nostra video-intervista a Riccarda Viglino, ex insegnante di scuola primaria, formatrice ed esperta di apprendimento cooperativo.
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