Esce per Marsilio un poderoso saggio su Giacomo Leopardi, in occasione del bicentenario, festeggiato in tutte le scuole d’Italia, della redazione dell’Infinito, una delle più famose e struggenti poesie del poeta-filosofo di Recanati. Autore del libro “Il celeste confine. Leopardi e il mito moderno dell’infinito”, Marsilio, è Alberto Folin, uno dei maggiori studiosi leopardiani d’Italia, membro del Comitato scientifico del Centro nazionale di studi Leopardiani e vicepresidente del Centro mondiale della poesia e della cultura “G. Leopardi”.
Folin ha insegnato Ermeneutica leopardiana all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ed è stato nominato dal Ministero della cultura membro del Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della composizione dell’Infinito (1819-2019), mentre sempre per Marsilio ha pubblicato “Leopardi e la notte chiara”, “Pensare per affetti. Leopardi, la natura, l’immagine”, “Leopardi e l’imperfetto nulla”, “Leopardi e il canto dell’addio”.
Alberto Folin con questo nuovo saggio propone una nuova lettura della poetica leopardiana, vista nel contesto, sia della formazione poetica e filosofica di Leopardi, e sia relativamente all’epoca romantica in cui il poeta visse, nel corso della quale la “mitologia classica” è vista, “contrariamente al pregiudizio diffuso, con distacco se non con sufficienza”. Nello stesso tempo contestualizza la poesia all’interno della genesi del pensiero leopardiano e dell’epoca romantica in cui il poeta visse.
Dobbiamo tenere presente che Leopardi vive in pieno il passaggio tra età signorile e moderna. Dal punto di vista culturale quest’epoca è dominata in Europa dalle due grandi correnti di sensibilità e di gusto chiamate Neoclassicismo e Romanticismo. La critica si è spesso chiesta se collocare Leopardi nell’una o nell’altra. Falsa questione. Come è assolutamente sbagliato credere che il Neoclassicismo abbia promosso come tema di creazione artistica la mitologia antica. Leopardi, che inizia dichiarandosi apertamente antiromantico, in realtà interpreta, a differenza dei neoclassicisti italiani, quel confine dove Neoclassicismo e Romanticismo si sovrappongono ed entrano in sinergia: uno degli elementi in comune è il rifiuto della mitologia classica. Leopardi non crede nell’attualità della mitologia. Crede nella verità del mito, considerandolo essenziale per la comprensione del senso dell’essere umano.
Proprio ciò cui ho appena accennato: che verità e mito coincidono. Si tratta di capire come possa sopravvivere il mito quando la ragione ne ha dimostrato l’«errore». Dobbiamo sempre tenere presente che nel 1819 Leopardi aveva 21 anni, era un ragazzo geniale, ma pur sempre poco più che un adolescente, e già da almeno 4 anni si era esercitato nella traduzione dal greco, dall’ebraico, dal latino, da Omero ai lirici greci, ai Padri della Chiesa. Il “salto” dalla filologia alla poesia (e alla filosofia) avverrà nel 1818-19. Il mio saggio cerca di capire quale sia il percorso profondo che porta Leopardi a questo «salto». L’infinitoè la proposta di un mito rappresentativo del nichilismo della modernità: una linea di confine che unisce e separa il visibile e l’invisibile di cui è fatto l’uomo, come avverrà nel ‘900 nelle rappresentazioni artistiche di Rothko e di Newman (veri eredi del «sublime» presente nelle tele di Turner).
Benché la struttura della lingua poetica di Leopardi sia costruita su suggestioni e citazioni di tutta la tradizione della poesia occidentale (dai Greci fino a noi), essa molto spesso (soprattutto negli Idilli e nel gruppo di liriche del ‘28-29, impropriamente battezzato “Grandi Idilli”) si offre al lettore come un fluire quasi “naturale”, semplice e insieme stupefacente. Io credo che questa sia la molla che fa scattare l’empatia nei confronti di un pensiero che tocca le corde profonde dell’animo umano, soprattutto ai suoi esordi. Gli adolescenti avvertono più di ogni altro l’incanto di fronte all’apparire delle cose e la tristezza per la loro distruzione.
Quanto è conosciuto Leopardi all’estero?
Fino a qualche decennio fa Leopardi era pressoché sconosciuto in Europa. Benché già nell’Ottocento ne avesse parlato con enfasi Nietzsche, che lo cita più volte, il nome di Leopardi circola poco nel mondo. Oggi possiamo dire che questa situazione è profondamente cambiata: esistono moltissime traduzioni in numerose lingue del pianeta. Si sono costituite associazioni in tutta Europa nel nome del poeta, e le università americane, come quelle russe, cinesi e giapponesi svolgono corsi sull’opera di Leopardi. Il merito di questa vera “rivoluzione” lo dobbiamo a Franco Foschi, che fu Presidente del Centro Nazionali di Studi Leopardiani dal 1987 al 2007, e all’attuale Presidente Fabio Corvatta, che ne raccolse l’eredità. Basti solo pensare all’impegno finanziario profuso per la traduzione in inglese dello Zibaldone, lavoro straordinario diretto da Franco D’Intino e fermamente voluto da Corvatta.
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