In questo periodo di isolamento finalizzato a sconfiggere l’aggressivo virus COVID-19, l’ausilio delle nuove tecnologie sta consentendo alle comunità scolastiche di realizzare preziose “Agorà” che permettono agli studenti di rimanere socialmente partecipi e intellettualmente produttivi, sotto la guida di insegnanti appassionati che si confrontano tra loro a qualsiasi ora del giorno e della notte e sperimentano assieme ai propri alunni la realizzazione di classi “virtuali”.
L’insieme delle metodologie e delle buone pratiche utilizzate per coinvolgere gli studenti in attività formative vengono definite attraverso l’inflazionata frase “Didattica a Distanza”.
In essa, a mio parere, è evidente la presenza di un ossimoro, in quanto associa alla parola didattica una parola (distanza) che esprime un concetto contrario agli obiettivi didattici.
Non è forse vero che grazie alle tecnologie riusciamo ad essere vicini ai nostri alunni? A vederli dove sono, lì, nelle loro stupende stanzette, personalizzate da quei meravigliosi gadget attaccati alle pareti colorate, ognuno dei quali simboleggia una loro esperienza, un ricordo da non cancellare e che li rende unici nell’affannoso tentativo di consolidare la loro “personalità”? Perché si preferisce evidenziare il vincolo, cioè la distanza, piuttosto che l’opportunità che essa offre? Gli insegnanti, prima ancora che gli alunni, come stanno vivendo questa esperienza? Siamo consapevoli che questo ostacolo può diventare punto di leva per realizzare una comunità intellettualmente viva? Per rispondere a queste domande occorre provare a rispondere ad un’altra curiosità: qual è, in questo momento, la priorità dei nostri studenti?
Nessuno può uscire se non per comprovate motivazioni, ma i ragazzi non si lamentano, anzi dai loro discorsi si evince chiaramente che hanno percepito i rischi. TV e videogiochi offrono loro momenti di sfogo, ma sanno bene che gli anestetici hanno breve efficacia: i mezzi trasmissivi unidirezionali non risolvono il concreto rischio di un isolamento globale. La loro priorità, in particolar modo in questo periodo, è a mio parere la realizzazione di “Polis” ovvero di comunità, come quelle nate negli anni 1000 a.C. nella antica Grecia, all’interno delle quali i loro insegnanti, come gli anziani saggi Greci, offrano l’opportunità di essere cittadini liberi e responsabilmente partecipi, attraverso la mediazione culturale.
Non a caso il termine didattica affonda le sue origini nel greco “didàskein” ed era utilizzato per indicare l’acquisizione dell’arte dell’insegnamento e del mostrare.
Cosa si aspettano dunque i nostri studenti dalle persone che negli anni più delicati della loro vita sono chiamati ad essere i loro “fari”? Cosa si aspettano da persone che hanno scelto questa professione come missione per riuscire a tracciare nel loro percorso di crescita un segno, una possibile direzione che li orienti nella difficile scelta del loro futuro professionale e vocazionale? Io credo che, in questo momento, i nostri studenti si attendano, da noi, il meglio di noi! Il massimo sforzo per essere tra loro, per convincerli che la cultura è il nostro punto di forza.
Come possiamo riuscirvi? Il modo migliore è quello di collaborare tra insegnanti, di creare una rete di docenti appassionati, di ampie vedute didattiche, all’interno della quale l’insegnante di biologia in collaborazione con l’insegnante di matematica potrebbe mostrare come si costruisce un modello bio-matematico che permetta di realizzare previsioni sulla diffusione epidemica e come invece la modifica di un determinato comportamento sociale (#iorestoacasa) intervenga per ridurre bruscamente il contagio; grafici e dibattiti alimenterebbero appassionatamente i nostri studenti che acquisirebbero l’atteggiamento di coloro che ricercano la conoscenza e la verità. L’insegnante di storia potrebbe parlare di quel famoso martedì nero del 29 ottobre del 1929 (il Big Crash Day) e delle conseguenze socio-politico-economiche causate da crollo della Borsa. l’insegnante di Italiano e l’insegnante di filosofia potrebbero richiamare le idee di Machiavelli per mostrare quanto, sebbene siano trascorsi cinquecento anni circa, le sue teorie politiche affrontino temi incredibilmente attuali. Se fossi studente mi sentirei appagato se qualche insegnante mi proponesse una attività con questo “taglio didattico”.
Tornando alla frase “didattica a distanza” ogni professionista di didattica non dovrebbe forse chiedersi: “quando una lezione accorcia la distanza?” e “quando una lezione crea distanza?”
Prenderò in prestito il fenomeno della risonanza acustica per accostare una metafora. Da un punto di vista fisico è possibile far vibrare una corda di una chitarra senza sfiorarla. Questo fenomeno, chiamato “risonanza per simpatia” è ben noto ai musicisti ed in particolare ai suonatori di viola di bordone, di sitar o di viola d’amore. Questi strumenti sono costituiti da un doppio ordine di corde. Le più superficiali sono le corde suonate dal musicista e fungono da corde sorgenti; in un piano inferiore sono poste le corde risuonanti; queste corde risuonano autonomamente quando la frequenza della corda sorgente è multipla della frequenza stazionaria propria. In altri tipi di strumenti a corde la risonanza per simpatia avviene sulle corde libere o, come nel caso di chitarra a dodici corde, sulle corde accoppiate per rinforzare l’ottava.
L’insegnante compie il faticoso ma fruttuoso lavoro di progettazione dell’attività formativa a monte della lezione; questa attività propedeutica è indispensabile tanto quanto lo è avere individuato la chiave giusta per suscitare stupore e interesse, per indurre risonanza tra le proprie corde e le corde dei propri studenti… Eh già, una bella sfida! L’obiettivo didattico più levato non può che essere quello di formare una classe intellettualmente vivace, capace di partecipare per il gusto di ricercare il bello, il buono ed il vero. Secondo queste intenzioni sono certo che sia condivisibile l’opportunità di definire la buona didattica come la “didattica della risonanza” e di definire “didattica della distanza” la successione di sterili azioni finalizzate al mero trasferimento di un’insieme disomogeneo di concetti, formulati attraverso maldestri e disinteressati spot trasmissivi.
Vogliamo essere “fari” per i nostri alunni? Allora occorre credere fermamente che nostro ruolo, e particolarmente in questo periodo ai limiti dell’immaginazione, sia quello di procedere al fianco dei nostri studenti perché anche se si mostrano sorridenti, è indubbio che hanno bisogno di essere incoraggiati, orientati, supportati e rasserenati!
Quali caratteristiche deve avere allora la “didattica della risonanza”?
Lungi da me l’intenzione di fornire un elenco esaustivo, ritengo tuttavia che alcune peculiarità possano essere le due seguenti:
In questi giorni è priorità delineare con i colleghi del Consiglio di Classe un percorso formativo, per individuare argomenti trasversali attraverso i quali poter rendere la classe virtuale una vera comunità, una Polis. E’ utile dilatare nella giusta misura i tempi, far si che gli studenti stiano bene, che non vedano l’ora di partecipare ad una attività per evadere, con la mente, dall’isolamento forzato che stanno vivendo. Al termine di una lezione si può chiedere loro di preparare, per una successiva occasione, alcune domande da porgere ai propri compagni con l’obiettivo di stimolare una sana e non competitiva conversazione. Questa modalità favorisce l’inclusione scolastica valorizzando le caratteristiche positive personali di ciascuno studente.
In questa situazione, inoltre, occorre tenere bene in considerazione che le lezioni devono essere calibrate sulle esigenze degli studenti che seguono da casa; è indispensabile dunque verificare se tutti possono svolgere l’attività così come è stata progettata dal docente, evitando di penalizzare gli studenti che hanno Bisogni Educativi Speciali, includendo in questa categoria gli alunni che non hanno connessioni ad internet o strumenti tecnologici a supporto.
È raccomandabile affrontare pochi nuovi argomenti per volta, concedendo generosi tempi per l’elaborazione dei concetti, prevedendo occasioni per confrontare e consolidare le conoscenze acquisite attraverso dibattiti o esercitazioni in plenaria, rispettando gli orari di intervento concordati con il Consiglio di Classe in modo da non creare sovrapposizioni che andrebbero a danno degli studenti e dei colleghi.
È utile chiarire agli studenti che non devono avere ansia per l’attribuzione di un voto; la valutazione che l’insegnante porgerà al Consiglio di Classe a fine anno scolastico terrà conto dei livelli di partecipazione, della capacità di fare gruppo, della capacità di dialogare, di interloquire, di condividere, di supportare il compagno in difficoltà.
Desidero rivolgere un pensiero all’insegnante “voto-dipendente”.
Chiedo a te una cortesia caro collega, perché prima spieghi ai tuoi alunni che in questo brutto periodo, in cui siamo tutti preoccupati ed obbligati a restare a casa, camminerai al loro fianco e che pertanto devono rasserenarsi rispetto agli esiti delle attività didattiche che svolgerai, ma dopo pochi minuti chiedi agli studenti di spegnere i microfoni dei loro “device” e spieghi facendo un monologo di un’ora; poi assegni non meno di 15 esercizi e programmi la verifica orale per attribuire i voti alle performance dei tuoi studenti. Chiedo a te una cortesia, perché al mattino comunichi ai tuoi studenti che nel pomeriggio faranno la verifica scritta e che poi la fai svolgere, a ciascuno, su due device, così in uno controlli il lavoro svolto e nell’altro controlli lo studente. Chiedo una cortesia a te che chiedi ai tuoi alunni di bendarsi durante una verifica orale per essere certo che non sbircino.
Per favore chiediti quante variabili aleatorie possono avere influenzato quei voti che stai attribuendo a valle delle “performance orali o scritte” che hai preteso che i tuoi studenti eseguissero davanti uno schermo che simula la tua presenza virtuale! Chiediti quanto stress e quanti punti interrogativi influenzano una verifica formale in questo momento storico? Chiediti anche qual è la situazione logistica e familiare dei tuoi studenti in questi affannosi giorni. Chiediti per quanto tempo delle tue lunghe lezioni i tuoi studenti soro riusciti a prestare attenzione.
Perché magari potresti scoprire che qualche tuo studente sta soffrendo perché un genitore sta rischiando di contrarre il virus per aiutare gli ammalati dell’ospedale in cui lavora, oppure perché un genitore rischia facendo con onestà e senso civico il proprio lavoro, continuando a garantire il pubblico servizio, oppure perché lo studente sta faticosamente provando a isolarsi nella stanza da pranzo, mentre nell’altra stanza il fratello è collegato con i suoi professori e chiede silenzio, mentre passa il cane che abbaia e distrae, mentre i genitori lavorano in modalità “smart working” o seguono le funeste notizie in Tv, discutendo delle possibili conseguenze, mentre internet fa le bizze perché non regge connessioni multiple, mentre tutti sono in casa cercando di trovare un nuovo equilibrio, una forma di collaborazione che non hanno mai sperimentato. Quando ti sarai dato una risposta, caro collega “voto-dipendente”, allora potrai sapere se per i tuoi studenti sei il “faro” che anche tu avresti voluto conoscere quando avevi la loro età.
Fabio Di Raffaele
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