Come già avvenuto con Galli della Loggia non sarò certo io ad evocare censure ma, al massimo, continenza.
Che è una virtù in via di estinzione o di riduzione esattamente come la curva del coronavirus.
Magari , però, è possibile evitare di fare non dico come Trump ma almeno evitare di imitare Macron.
Le agenzie hanno appena battuto la retromarcia di Asterix Macron sulla riapertura dei licei.
Contrordine, compagni mi pare eccessivo, contrordine camarades, abbiamo scherzato qualche giorno fa e i licei non li riapriamo per niente.
Ahimè, scherzo crudele per i macroniani della riva destra dell’Arno che pure premevano e premono.
In Italia,invece, non si scherza solo ma si gigioneggia con la salute messa in pericolo non solo dal coronavirus.
Perché, se dal virus non ti difendi, tutto il resto che attenta alla salute lo si potrebbe evitare.
A condizione, però, di assumere il principio di realtà come principio ispiratore e questo dovrebbero farlo,magari. proprio le persone coinvolte nella zona più colpita, la Lombardia.
E se qualche giorno fa era il pedagogista Bertagna, ordinario Bergamo, a fare sempre qui l’ironia sui prof che vogliono andare in ferie, oggi raddoppia la prof.ssa Luisa Ribolzi, che è stata professore ordinario di sociologia dell’educazione,ad insistere pure lei scrivendo così: ”Ma le vacanze? Se si ‘spalma’ la scuola, si possono spalmare le vacanze.”
Immagino che aver usato quel termine, con riferimento all’art. 34 della Costituzione, deve aver fatto dimenticare alla professoressa quello che c’è due articoli dopo, nell’art. 36, che definisce le ferie un diritto irrinunciabile del lavoratore.
Ora, per carità, può pure essere che la prof.ssa Ribolzi, docente universitaria in quiescenza, che ha un campo d’ osservazione ampio, non abbia presente che i docenti non possono andare in ferie quando vogliono ma esclusivamente durante i periodi di sospensione delle attività didattiche e può essere pure che immagini una sospensione delle ferie di quest’anno simmetrica alla sospensione dell’attività in presenza.
Questo, però, equivarrebbe a dire che noi docenti siamo attualmente in vacanza.
Io lo sono tanto che i miei studenti, nonostante glie lo vieti ogni volta che mi inviano mail ed esercitazioni, continuano a scrivere “prof. , scusi il disturbo”.
Ed io a spiegargli che sì è domenica, è notte, è Pasquetta, è il mio ex giorno libero ma è una mia scelta.
Mi aspetto l’aureola? Un incremento di stipendio? La mitica medaglia d’oro–patacca che nemmeno i miei genitori, maestri elementari, ebbero tanti anni fa andando in pensione?
No, mi aspetterei rispetto e, magari, considerazione.
Per esempio evitando di porre le domande retoriche della prof.ssa Ribolzi a cui ne rivolgerò, per simmetria, una diecina.
Mi risparmi, gentile professoressa Ribolzi, se può, almeno il predicozzo sul senso etico legato al “no-qualcosa” da lei evocato: come ho scritto quello me l’hanno trasmesso i miei genitori, entrambi maestri elementari ed ancora ricordo la frase di un genitore di un alunno.
Eravamo per strada, io e mio padre, lui maestro ed io bambino alunno di un suo collega, nel pieno di una tormenta di neve e stavamo andando, magari incongruamente visto che nevicava dal giorno prima (era il mitica nevicata del 1962) a scuola.
Arrivati davanti a casa di un suo alunno ci saluta, sull’uscio di casa, il papà del bambino .
Ci arriva dalle spalle la frase, pronunciata immaginando evidentemente che vento e neve non trasportassero il suono della voce, del padre dell’alunno.
“Ma ndov vaie stu fess?” Glie lo traduco dal lucano “ Ma dove va questo fesso?”
Il figlio del “fesso” buonanima, al tempo del coronavirus, vorrebbe almeno non sentirsi parlare se non a vuoto almeno alle spalle.
Franco Labella
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