Ad un mese e mezzo circa dalla scadenza per le iscrizioni il mondo scolastico ha a disposizione soltanto la tabella di confluenza dei percorsi, i profili in uscita e i quadri orario, i comunicati stampa del ministro e qualche scheda curata dall’Ansas.
La riforma è stata avviata sulla base di Regolamenti che ad oggi non solo non costituiscono una norma in vigore, ma sono dei documenti fantasma.
Le notizie certe sono poche, gli interrogativi tanti.
In merito, alcuni giorni fa, la nostra redazione ha pubblicato, a firma di Anna Maria Bellesia, un articolo per mezzo del quale venivano formulate dieci domande in attesa di chiarimenti.
A rispondere, pochi giorni dopo la pubblicazione, è stato Gianni Zen, dirigente scolastico e componente del Gruppo operativo della Delivery Unit nazionale che ha considerato le domande della nostra collaboratrice puntuali nelle sue annotazioni, e meritevoli di una risposta. “Si tratta – ha specificato Gianni Zen – di un tentativo di dialogo, nulla di definitivo, per alimentare quel pensiero positivo che, seppur in forma carsica, è la vera forza viva della scuola italiana”.
Un dialogo che per avere la sua efficacia e i suoi risultati deve trovare un compromesso. Infatti sottolinea Zen: “Tra la mera conservazione dell’esistente ed il sogno della riforma “perfetta”, – sostiene – la via mediana, come sempre, nonostante le criticità e gli inevitabili compromessi, è la scelta migliore”.
Riportiamo di seguito, dunque, le domande formulate da Anna Maria Bellesia e le risposte di Gianni Zen.
1. Se i percorsi formativi dovranno essere volti al perseguimento di risultati di apprendimento declinati in conoscenze, abilità e competenze, anche in coerenza con le Raccomandazioni U.E., gli insegnanti saranno pronti e adeguatamente formati il prossimo settembre ad innovare il loro metodo di insegnamento secondo la nuova prospettiva?
– Questa è la vera partita riformista. Perché al di là dei contenitori, contano i contenuti, e questi contenuti rimandano al fatto che si dovrà passare in progress alla didattica per competenze, ad un metodo il più possibile induttivo, a percorsi di formalizzazione centrati sul problem solving: centrali qui sono i Dipartimenti che “dovranno” (ora non più un atto imperativo, ma una responsabilità eticamente sensibile per il sistema-scuola) diventare il vero snodo riformatore. E’ qui che si gioca la professionalità dei docenti. Il punto di partenza saranno le Linee guida che saranno pubblicate dal Miur tra 60 giorni circa: saranno la cornice sulla base della quale le scuole dovranno scrivere le nuove programmazioni.
2. Se l’utilizzo diffuso dei laboratori a fini didattici è considerato lo strumento essenziale per un insegnamento efficace ed attraente per gli studenti, gli insegnanti saranno pronti e adeguatamente formati per fare del laboratorio l’ambiente ordinario del fare scuola?
– Le co-docenze presenti in alcuni indirizzi sperimentali dei Licei sono state cancellate, mentre le compresenze degli Itp nei Tecnici e nei Professionali sono state rese più funzionali a far in modo che gli stessi docenti di teoria siano costretti, come è giusto, a riscrivere le loro programmazioni partendo dai laboratori: è il tempo-laboratorio che viene di fatto valorizzato come nucleo portante del fare didattica: anche qui centrale sarà il lavoro in progress dei Dipartimenti.
E’ doveroso a questo punto un chiarimento: se le critiche dei più si appuntano sul fatto che “qualcuno ci deve insegnare come si fa”, allora è chiaro che a poco servirà rifinanziare la 440 o altri interventi mirati, perché è il sano protagonismo docente qui che entra in gioco!
3. E le scuole avranno una dotazione strumentale ed ambienti idonei per creare le condizioni di queste nuove opportunità di apprendimento?
– Lo sappiamo bene, gli strumenti valgono nella misura in cui assumono un significato. L’aggiornamento dei Laboratori, viste le difficoltà del momento, non potrà essere un atto d’imperio e centralizzato, ma una opportunità che le migliori scuole stanno già attuando attraverso l’adesione a progetti o bandi di vario tipo, regionali, nazionali ed europei, tutti (chi più chi meno) con ricadute indirette nell’aggiornamento dei laboratori. Ancora una volta: sano protagonismo delle scuole e fine della pretesa “manna” dall’alto… Tanti progetti europei sono, ad esempio, una reale pari opportunità per le nostre scuole.
4. Riusciranno le istituzioni scolastiche a gestire autonomia e flessibilità, e a raggiungere gli obiettivi previsti, non solo in mancanza di un organico funzionale, ma con organici sempre più ristretti a causa della riduzione delle cattedre esistenti?
– Le scuole stesse devono dimostrare che l’autonomia è un valore, vincendo la tendenza sempre in atto secondo la quale autonomia=anarchia, debolezza non troppo nascosta della vecchia logica centralista e de-responsabilizzante sempre in agguato a livello nazionale e periferico. L’autonomia ci dice che le scuole dal 2001 sono Stato, e quindi non possono più essere trattate come dependaces degli enti locali, degli Usr e degli Usp: sanno invece che sono tanto più significative solo se aprono porte e finestre per diventare “scuole delle comunità locali”: il Cts paritetico dovrebbe diventare il vero fiore all’occhiello di tutte le migliori scuole.
5. Quante scuole troveranno il modo, a costo zero, di avvalersi di esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica attivando i nuovi modelli organizzativi di progettazione didattica (Comitato tecnico scientifico e dipartimenti)?
– Qui, ancora una volta, dipenderà dalla capacità delle scuole di fare rete col territorio, pur nella difficoltà del momento. Le risorse saranno uno dei risultati positivi di questo gioco di squadra.
6. Come saranno articolate le cattedre in assenza, al momento, della revisione delle classi di concorso?
– È giusto attendere il lavoro ministeriale, ben sapendo che comunque la revisione delle classi di concorso oggi è un atto dovuto, che renderà più flessibile il quadro organizzativo.
7. Se la partenza dei nuovi ordinamenti è fissata solo dalle classi prime classi, in base a quali criteri il Mef taglierà le ore nelle classi successive, scontrandosi col diritto degli studenti alla continuità del percorso intrapreso?
– Sui tagli nelle classi seconde, terze e quarte: tutti i compromessi hanno le zone d’ombra. Se poi osserviamo la situazione complessiva nel mondo del lavoro, è corretto non limitare lo sguardo al nostro orticello scolastico: noi lavoratori della scuola, rispetto ai nostri colleghi lavoratori in altri contesti, siamo dei privilegiati. Ed i precari? Meglio ancora: ed i giovani di talento che si trovano ai margini? Sono problemi gravi e seri, più grandi di noi. Qui deve entrare, se vogliamo essere sinceri e corretti fino in fondo, il tema della valutazione dei docenti: quanti docenti condividono che gli studenti e le famiglie hanno diritto ai migliori docenti, non a qualsiasi docenti. Perché avere paura di dire queste cose?
8. Su quali basi agli studenti che intendono cambiare percorso sono riconosciuti e certificati i crediti maturati per facilitare i passaggi ed ostacolare la dispersione?
– Sulle passerelle si è fatto sempre un gran parlare. Ma in realtà sappiamo bene che la vera scelta, per la quasi totalità degli studenti, avviene verso i 14 anni. Anzitutto, quindi, l’attenzione va concentrata sul deciso miglioramento dell’orientamento, sapendo che le scuole medie non sono preparate bene a questo ruolo, e se lo fanno in molti casi sbagliano: da un’analisi dell’Alma Laurea di Bologna il 47% dei laureati italiani, se tornasse a 14 anni, cambierebbe la scelta di scuola superiore. Sul come combattere infine la dispersione, la speranza, al di là dello storico, è che la riforma aiuti tutti a comprendere meglio la qualità della scelta: prevenire è sempre meglio che curare.
9. Come realizzare, per i professionali, un’offerta coordinata con la formazione regionale e rilasciare qualifiche in regime di sussidiaretà se mancano del tutto le intese con le regioni?
– Qui è la partita più delicata. Una sinergia tra Usr e Regioni, anzitutto, dovrà chiarire bene i nodi da risolvere. Sperando che, finalmente, sia finito il tempo delle campagne elettorale e dell’uso politico-strumentale della Conferenza Stato-Regioni.
10. E come utilizzare gli ampi spazi di flessibilità (distinti da quelli dell’autonomia), previsti nei professionali fin dal primo biennio, per corrispondere alle esigenze del territorio, in mancanza di indicazioni certe, e a volte perfino confuse?
– La vera sfida, per concludere, della Riforma è una sola: vincere la paura dell’autonomia, il timore dell’etica delle responsabilità, tante remore verso i contesti territoriali. Tutte le scuole dovrebbero dichiarare a chiare lettere che è finito, giustamente, il tempo della vecchia autoreferenza, che è il vero male della scuola italiana, intima cerniera, al di là di destra e sinistra, dei conservatori di tutte le specie…
Sulle risposte del componente del Gruppo operativo della Delivery Unit nazionale sono pervenute alcune osservazioni: a parte che sembra sia elusa la risposta alla domanda sulla questione dei tagli alle classi successive nonostante la riforma parta solo dalla prima classe (domanda numero 7) o perlomeno appare una risposta non puntuale e specifica (anzi si parla di "privilegi" (??) per i lavoratori della scuola), da segnalare una lettera sul "fare rete" con il territorio, pubblicata nella rubrica "I lettori ci scrivono".