I lettori ci scrivono

Difesa di un ateo dell’ora di religione cattolica a scuola

Spiego, da docente di fede atea e di professione filosofica agnostica, perché ritengo utile e più attuale che mai l’insegnamento della religione cattolica apostolica romana a scuola. È certamente doveroso studiare anche le altre religioni e dare spazio a tutte, non solo perché nelle classi ci possono essere alunni di diverse fedi che in tal senso si vedranno accolti e riconosciuti, ma anche perché ognuno comprenda le visioni e le idee degli altri cittadini del mondo, prerequisito per (ri)conoscerle veramente.

Laicità non vuol dire eliminare tutte le fedi ma tutte accoglierle, nel presupposto unico e irrinunciabile che tutte accolgano, a loro volta, il principio di esistenza e libera manifestazione delle altre. E allora, perché non trasformare semplicemente l’ora di religione cattolica in qualcosa come la storia e l’analisi dei sistemi religiosi? Perché sarebbe un errore da almeno tre punti di vista intrecciati l’un con l’altro: storico-sociologico, formativo e didattico.

Sarebbe un errore storico perché la società italiana vive da tempo quel che si dice un inarrestabile processo di secolarizzazione. Ciò significa che sempre più sfilacciato si fa il tessuto della pervasività della visione religiosa cattolica e dei suoi principi nella pratica e nella conoscenza diretta dei futuri cittadini italiani. Ebbene, proprio perché si manifesta un simile processo, è importante affrontare oggi una sfida culturale (e non religiosa!), formativa (e non catechistica!): i futuri italiani avranno sempre più difficoltà ad accedere al linguaggio teologico cristiano e nei tanti mezzi in cui esso si esprime (arte, architettura, filosofia, letteratura, ecc.).

Togliete al lettore di Dante o Manzoni, togliete a chi contempla le tante opere d’arte delle nostre città, a chi studia Tommaso e Sant’Agostino – ovviamente – ma anche un Giordano Bruno o un Nietzsche una conoscenza approfondita della cultura cristiana e avrete combinato un disastro! Questo è appunto l’errore formativo.

Sarà in una certa misura inutile portare gli studenti a visitare musei, cattedrali, affreschi, come inutile sarà analizzare con loro tanti testi letterari e filosofici se li avrete privati del linguaggio con cui sono in parte (o in polemica al quale sono) costruiti, edificati e scritti i primi.

Molti dei poeti, degli artisti, pensatori, scrittori o pittori immensi che li apriranno alla vita dello spirito si esprimono proprio con l’alfabeto cristiano, del quale non possiamo e non dobbiamo allora privarli.

Del resto, vi domando, fareste un viaggio di arricchimento e conoscenza in Giappone senza aver prima letto o provato a capire qualcosa sul buddismo zen? Cosa cogliereste veramente di tanta parte del teatro, della poesia, dell’architettura, della pittura, dei giardini, dei rituali e dei costumi giapponesi senza passare da là? Nulla credo, o almeno non abbastanza da gustarne duraturi frutti. E allora, come potete pensare che i nostri figli possano, invece, incontrare tutti i giorni un mondo da due millenni cristiano senza conoscere a fondo il cristianesimo? Come potrebbero, inoltre, giungere a metterlo in discussione senza averlo prima almeno compreso? Veniamo così all’errore didattico, che a questo punto dovrebbe essere molto evidente.

Non è ammissibile dedicare allo shintoismo o all’islam o al buddismo lo stesso tempo che è invece giusto (per quanto detto sopra) dedicare alla religione cristiana cattolica! Quando i nostri alunni saranno fuori dalle aule – almeno nel momento storico in cui scriviamo – non incontreranno moschee né templi buddisti e shintoisti ma chiese, arte sacra ispirata al cattolicesimo, simboli e riferimenti di una civiltà cristiana.

Se è al mondo reale che abbiamo il dovere in primis di formarli, a una comprensione dello stesso, allora è didatticamente importante e indispensabile che il poco tempo da dedicare allo studio della religione sia utilizzato maggiormente (ma non esclusivamente!) per quella cultura religiosa che serve loro più delle altre a comprendere ciò che hanno intorno: il cattolicesimo appunto.

E questo vale anche per quegli alunni di altre fedi che abitano le aule: ciò che vedranno intorno a loro non dipenderà dai valori che professano o che hanno ereditato dalla propria famiglia. Uno studente buddista non incontrerà attorno a sé templi né opere d’arte ispirate ai principi del Budda: non prendere in considerazione questo dato di fatto, non riconoscerlo è assurdo e fallimentare sia per i formatori che per i genitori.

È strano come, a settanta e più anni da un celebre scritto di Croce – non certo un filosofo bigotto!- si rivela oggi, credo, ancor più urgente e attuale ribadire perché non possiamo-nemmeno io, ateo- non dirci cristiani. Le persone comprendono benissimo come 20 anni appena di Internet abbiano cambiato le loro vite, ma le stesse poi, stranamente, credono di non essere affatto lambite (dentro e fuori si sé) da 2000 anni di cristianesimo.

Molti, mi pare, nel timore di tradire i presupposti laici e pluralisti della democrazia e della scuola pubblica italiana, sacrificano così in questi giorni una ragionata e pacata riflessione all’altare del furore laicista, opposto dogmatico di un altrettanto sterile bigottismo.

Il ragionamento che qui invito a fare intende invece sfuggire a questa radicalizzazione paralizzante e cieca delle posizioni, l’una contro l’altra armata: non è affatto il punto di vista di un oltranzista e tradizionalista uomo di fede, ma quello di chi deve responsabilmente formare (come genitore e docente) dei ragazzi italiani a comprendere il proprio mondo, ossia un mondo intero frutto di secoli di opere, modi di pensare e concepire l’individuo, l’essere delle cose, i rapporti umani, il diritto, l’arte ecc. cristiani!

Non c’è nulla di più ingenuo che non tenerne conto, niente di più cieco dell’idea di poter o addirittura dover oggi fare a meno della cultura cattolica quale strumento essenziale per la lettura del nostro immediato reale. E a ricordarlo, per una volta, lasciate che sia un ateo, un ateo cristiano si potrebbe dire, nel senso che è proprio rispetto all’universo cristiano-cattolico in cui sono cresciuto che ho elaborato persino il mio ateismo, la mia forma intima e personale.

Anche questo è un dato di fatto, da cui non si può prescindere nell’inconsapevole e ingenua illusione obiettivista e laicista che per essere giusti e imparziali si debba, o soltanto si possa, parlare “da nessun luogo”, “da nessun punto di vista”.

Pier Paolo Tarsi – Confsal – Anaps

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