La Cassazione, sentenza 8482 della Quinta sezione penale, ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di una studentessa che accusava una ricercatrice che l’aveva assistita nell’elaborazione della tesi, di avere poi copiato i risultati del suo lavoro utilizzandoli per uno scopo personale.
La Cassazione ha sottolineato, scrive Il Sole 24 Ore, come l’uso dei social network e, quindi, la diffusione di messaggi attraverso internet, è assolutamente in grado di concretizzare un caso di diffamazione aggravata. Si tratta infatti di una condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone o, almeno, assai elevato.
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La formulazione letterale della norma, si legge sul Sole 24 Ore, rende evidente come la categoria dei mezzi di pubblicità è più ampia del concetto di stampa, comprendendo tutti questi sistemi di comunicazione e quindi di diffusione, dai fax ai social media, che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie a un numero elevato di persone. Non mitiga la gravità della condotta il fatto che la diffusione è avvenuta attraverso siti destinati a operatori universitari e, quindi, in un certo senso specialistici.
Si tratta infatti di un ambito che non può assolutamente essere ritenuto circoscritto. Inoltre molti dei siti utilizzati erano in realtà consultabili da una platea molto larga di soggetti
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