Gli interventi del dott. Leonetti, docente e tutor di Master presso LTE- Laboratorio Tecnologie dell’Educazione, e della dott.ssa Volpi, Psicologa e Specialista in Psicologia Cinica in ambito privato, al convegno “Innovare la didattica con il digitale: istruzioni per l’uso”, tenutosi presso l’Istituto Maria Consolatrice, (Torino il 9 maggio 2019), hanno solleticato la mia curiosità, invogliandomi ad una riflessione personale, in qualità di insegnante di una scuola primaria del Nord Italia.
Dopo quanto ascoltato, credo sia chiaro che disquisire ancora sul considerare o meno il digitale un “metodo” o uno “strumento” didattico, sia poco produttivo.
Inizierei proponendo la breve lettura dell’etimologia di queste due parole, estrapolate dal vocabolario Treccani: mètodo s. m. [dal lat. methŏdus f., gr. μέϑοδος f., «ricerca, indagine, investigazione», e anche «il modo della ricerca», comp. di μετα- che include qui l’idea del perseguire, del tener dietro, e ὁδός «via», quindi, letteralmente «l’andar dietro; via per giungere a un determinato luogo o scopo»]. – 1. In genere, il modo, la via, il procedimento seguito nel perseguire uno scopo, nello svolgere una qualsiasi attività, secondo un ordine e un piano prestabiliti in vista del fine che s’intende raggiungere; struménto (letter. istruménto; ant. instruménto, stroménto, storménto) s. m. [lat. instrumĕntum, der. di instruĕre «costruire, apprestare»]. – 1. Genericam., arnese, congegno, dispositivo e sim., necessario per compiere una determinata operazione o svolgere una attività.
Considerato che il termine metodo include in sé il concetto di strumento (Leonetti), per districare quello che sembra essere diventato un vero e proprio nodo gordiano, si potrebbe provare a decentrare il focus sostituendo i due termini di cui sopra con la parola “modalità”, intesa come elemento utile al raggiungimento di un fine; in effetti, se ci sleghiamo per un attimo dalla pratica didattica per ricollegarci a concrete situazioni di vita, quando ognuno di noi deve raggiungere un determinato luogo, la prima domanda che si pone è “come posso arrivarci?”. Da questo interrogativo base, ne nascono inevitabilmente altri due:
Gli esempi appena proposti potrebbero in effetti trovare un loro riscontro diretto anche sul versante didattico dell’insegnamento/apprendimento scolastico: scegliere se usare l’analogico o il digitale è come scegliere la modalità (ovvero cioè scegliere il metodo e gli strumenti che offre) con la quale raggiungere l’obiettivo, questo perché sia analogico che digitale hanno metodi e strumenti diversi e peculiari a loro disposizione.
Il problema, quindi, è più che altro di tipo ideologico, condizionato da idee preconcette predefinite e da pregiudizi. Il dibattito, infatti, potrebbe essere superato ponendo l’attenzione sulla scuola e sulle stesse modalità di trasmissione: dal momento che sempre più scuole dispongono di entrambe le modalità (analogico/digitale), perché non provare a superare il dualismo argomentativo per puntare alla concretezza, realizzando pertanto una didattica che utilizzi entrambi gli elementi che, in fondo, sono due facce della stessa medaglia?
Il dott. Leonetti, in tal senso, è stato molto esaustivo e ha portato a una riflessione sull’utilizzo del digitale e dell’analogico; non a caso i due termini sono menzionati in questa sequenza: il primo, avendo un impatto principalmente mediatico, dà il massimo del suo contributo se utilizzato come leva motivazionale in grado di stimolare l’interesse dell’alunno; il secondo invece adempie alla sua funzione approfondendo tutto ciò che la curiosità dell’alunno, appena stimolata, ricerca e desidera. In sostanza, più che una vera contraddizione, si parla ancora una volta di saper fare: ogni strumento, al pari di ogni metodo, deve infatti essere usato con accortezza e legato al contesto pragmatico d’intervento.
Per concludere, la vera domanda che potrebbe finalmente dare una svolta alla didattica scolastica non è “digitale si o no?” bensì “digitale come?” (Leonetti). Proporre quindi una domanda diversa, slegata da posizioni rigide e più aperta all’innovazione, renderebbe meno difficoltosa l’introduzione del digitale nella didattica. Questo fa ormai parte della vita di tutti, soprattutto di quella degli studenti che, volente o nolente, si trovano costretti ad usufruirne. Pertanto, dal momento che il tempo non può tornare indietro, tanto vale utilizzarlo nel migliore dei modi possibili.
Quindi spetta agli adulti leggere il “foglietto illustrativo” (e dunque il come usarlo si usa) al fine di spiegarlo ai piccoli geni del digitale che sono al contempo “grandi ingenui” sulle pericolosità di tale innovazione.
Affinché ciò avvenga è necessario attuare un’adeguata formazione destinata ai genitori, e ai professionisti di ogni settore (artisti, avvocati, giudici, medici, psicologi, logopedisti, operatori del benessere, insegnanti e tanti altri), compresi anche quelli che non lavorano nel sociale, perché noi tutti, in un modo o in un altro, siamo/saremo a contatto con le nuove generazioni.
Nonostante siano tanti i corsi di formazione attualmente proposti, ma serve qualcosa in più, qualcosa che faccia scattare la molla, ovvero su quel modus operandi che includa un modo diverso di vedere il digitale, il quale non è un oggetto uno strumento ‘demoniaco’ se lo si sa usare correttamente. Probabilmente noi tutti ne abbiamo paura perché non lo conosciamo; insomma, diamogli una possibilità.
a cura di Emanuela La Fiura
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