La trasformazione digitale in atto ruba posti di lavoro, perché crea efficienza e quindi rende alcuni lavori sostanzialmente inutili. Ma esiste una ricetta perché il processo tecnologico e l’automazione non possano danneggiare il lavoratore? Sembrerebbe di sì, perché su robot e lavoro la dialettica è continua e il dibattito aperto.
A scanso di equivoci, diciamo subito che l’Italia deve continuare ad investire su trasformazione digitale, robotica e intelligenza artificiale, ma non bisogna dimenticare in questo contesti due elementi fondamentali: istruzione e creatività.
Il problema di fondo non è che un robot ci sostituisca nelle nostre attività, perché non sta rubando il nostro lavoro ma sta rendendo inutile lo stesso impiego. Rendere efficiente e veloce un processo, vuol dire che le persone svolgevano quell’attività perché il processo stesso era inefficiente.
Ora, è vero che efficienza vuol dire anche perdita di posti di lavoro: secondo uno studio di CB Insights sul numero di posti a rischio negli USA, nei prossimi 10 anni i più colpiti dalla robotizzazione saranno cuochi e camerieri (4,3 milioni); addetti pulizie (3,8 milioni) e magazzinieri (2,4 milioni).
Nei prossimi 15 anni saranno in calo anche i venditori al dettaglio (4,6 milioni), mentre nel giro di 20 anni a fare le spese della robotizzazione saranno addirittura i camionisti (1,8 milioni), i muratori (1,2 milioni), infermieri e addetti del settore sanità (6,9 milioni), una varietà di lavori che apparentemente non hanno nulla a che vedere con la robotica.
Il colosso della consulenza McKinsey ha previsto inoltre, che una rapida adozione dei processi di automazione da parte delle aziende può portare da qui al 2030 al licenziamento di 800 milioni di persone. Un continente di disoccupati, dove alcuni riusciranno ad adattarsi e rientrare nel mondo del lavoro mentre altri, anche rimettendosi a studiare, non riusciranno a tornare “occupabili”.
Oggi i robot svolgono già alcune di queste attività; da quelli di Amazon capaci di prendere la roba negli scaffali, a quelli che aspirano polvere in casa, a quelli che fungono da concierge negli hotel.
Vedendo i progressi dell’intelligenza artificiale che consente ai robot di imparare, prendere decisioni, effettuare quindi attività sempre più complesse, nessuna professione in futuro sarà dunque sicura.
Sulle delicate questioni del rapporto uomo-robot, si è parlato lungamente anche nell’edizione appena conclusa del Forum PA , in particolare nel convegno “L’Intelligenza artificiale per la PA e i servizi pubblici”, andato in scena durante la terza giornata dell’evento.
Il punto non è tanto se applicare o meno sistemi di intelligenza artificiale in azienda o nelle Pubblica Amministrazione, ha sottolineato durante il convegno Piero Poccianti, presidente dell’associazione italiana per l’Intelligenza artificiale: “Il punto è se davvero vogliamo usarli in questo contesto economico e non invece metterli a frutto, anche per cambiare il modo di funzionare dell’economia, mettendo al primo posto l’ambiente, l’uguaglianza, la cultura: l’uomo insomma”.
L’intelligenza artificiale diventa una chance di cambiamento solo se si definiscono gli obiettivi e si delinea la strada su cui vogliamo arrivare.
L’Intelligenza Artificiale deve essere considerata un paradigma che va sempre più diffondendosi dentro le aziende in quanto fattore tecnologico abilitante, in grado di sollevare le persone dai compiti più semplici per ricollocarle su task dal valore più alto.
Un mondo in continuo cambiamento quindi, una rivoluzione 4.0 da cui dovremo arrivare preparati sia eticamente che culturalmente. Ci deve essere una diversa comprensione del mondo che sta arrivando; e chi, se non l’istruzione, deve attuare lo strumento portante di questa nuova cultura?
Una corretta impostazione del dibattito etico dovrà tener conto quindi anche di tutti quei criteri che possano favorire o orientare solo verso il bene comune le innovazioni tecnologiche
Una istruzione adeguata che deve partire dalla scuola e continuare anche durante la vita professionale che sia in grado anche di creare grazie allo sviluppo della creatività nuove opportunità di lavoro.
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