Si parla tanto di edilizia e di messa in sicurezza delle scuole. Anche con toni aspri all’interno di alti rappresentanti dello stesso Governo. Ma si parla poco dei tagli alle sedi scolastiche autonome, che negli ultimi anni si sono viste ridurre da oltre 12mila a circa 8.400. Il processo ha preso il via a partire dall’inizio del nuovo secolo, dal 2000, ma nell’ultimo biennio ha avuto una decisa accelerazione a seguito dell’attuazione della Legge 111/2011, nella parte che ha fissato l’obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell’infanzia, elementari e medie con meno di “1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche”.
In varie parti d’Italia, soprattutto al Centro-Sud, dove i tagli si sono fatti sentire di più, il provvedimento è stato impugnato da associazioni, sindacati (con in testa la Flc-Cgil, che ha in pratica contestato l’operato dell’ex ministro Gelmini su tutta la linea), personale (soprattutto coloro che hanno perso il posto a seguito del dimensionamento) e persino raggruppamenti di genitori.
A cosa hanno portato i ricorsi? Sinora a poco, visto che solo nell’ultimo biennio si sono continuate a perdere qualcosa come 1.800-2.000 istituti. Di recente, però, sono state emesse delle sentenze che potrebbero ribaltare la situazione. Prima ci sono stati i rilievi della Corte Costituzionale, con la sentenza 147/2012, poi un anno fa il Consiglio di Stato ha cancellato l’accorpamento di tre istituti comprensivi calabresi. E arriviamo ai nostri giorni, quando a fine gennaio il Tar Sardegna, a proposito dei ricorsi presentati dai docenti che hanno perso posto proprio per effetto delle ultime disposizioni di chiusura delle sedi scolastiche sarde, ha annullato il dimensionamento di dieci scuole dell’Isola e gli atti conseguenti: facendo così tornare tutto come prima, da decreti di assegnazione del personale fino ai codici meccanografici. In particolare, l’Usr ha disposto l’annullamento “in corso d’anno, con effetto immediato”, della mobilità coatta del personale perdente posto a seguito del dimensionamento attuato nel 2012/13. E a fine mese potrebbe essere la volta della Regione Molise, dopo che il Tar ha respinto la richiesta di sospensiva formulata dalla Provincia per bloccare il ricorso presentato, tra gli altri, da un gruppo di genitori degli alunni danneggiati dal dimensionamento forzato: se il Tar darà ragione ai ricorrenti, decine di scuole torneranno ad essere autonome.
A detta di Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, non si tratta però di disposizioni sorprendenti: “i giudici – sostiene il sindacalista – non possono fare altro che sottoscrivere l’evidenza della violazione dei criteri di legge: senza un nuovo accordo in Conferenza Stato-Regioni, ai sensi della normativa vigente dopo la sentenza della Consulta, non possono infatti essere attuati nuovi accorpamenti o soppressioni in violazione dei vecchi criteri del D.P.R. 233/98”.
“E questo vale anche – prosegue Pacifico – per le scuole superiori, ma in questo caso dal prossimo anno scolastico: ai sensi della recente Legge 128/13, in mancanza di un accordo con le Regioni, che non c’è stato, l’attuale norma sugli accorpamenti, introdotta con il c. 5 della Legge 111/11 attraverso cui è stato di fatto soppressa l’assegnazione dei dirigenti in 300 scuole superiori, rimane in vigore solo fino al prossimo 31 agosto”.
Secondo uno studio realizzato dal sindacato siciliano, in tredici anni si è passati dal rapporto 1 a 5 al rapporto 1 a 7 tra sedi direzionali e plessi decentrati o istituti accorpati. Con il 66,5% dei tagli delle scuole autonome che è avvenuto al Sud-Isole, dove è proprio più alto il tasso di abbandono dei banchi.
La ‘mazzata’ finale al progetto di cancellazione di plessi e scuole autonome è arrivata nell’ultimo biennio. Solo nel 2012 sono stati cancellati in maniera illegittima 1.567 sedi amministrative (scuole autonome) di circoli didattici, istituti comprensivi e medie, mentre per l’ultimo anno. Con le Regioni che, di fatto, tranne rari casi, sono rimaste a guardare. Ma ora i tribunali sembrano voler cambiare il corso delle cose.
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