Mentre Comuni e Province procedono un po’ dovunque ad accorpare e ridimensionare le scuole, si moltiplicano le prese di posizione di associazioni e sindacati che chiedono un rallentamento dell’operazione o quanto meno il rispetto delle regole.
Il caso del Piemonte è emblematico.
In questa regione, in molte realtà territoriali, gli Enti locali hanno già predisposto i loro piani e li hanno comunicati alle scuole.
Ma a Torino, proprio in questi stessi giorni, Flc-Cgil e CislScuola insieme con diverse associazioni tra cui l’Asapi (Associazione delle scuole piemontesi), l’Andis, il Cgd (Coordinamento genitori democratici) e persino l’Anci hanno sottoscritto un documento con cui chiedono che l’intera operazione venga condotta con attenzione oltre che nel rispetto delle regole.
D’altronde, sottolineano sindacati e associazioni, appare poco prudente applicare le disposizioni della legge 111 (chiusura delle direzioni didattiche e delle scuole medie, formazione di istituti comprensivi di almeno mille alunni) in modo rigido anche perché la legge stessa potrebbe anche essere cancellata: “La Corte Costituzionale – si legge infatti nel documento – dovrà infatti pronunciarsi: è già successo nel 1999 quando annullò l’articolo 64 della legge 133. Si potrà verificare nuovamente e se saranno state fatte delle scelte sbagliate e forzate sarebbe molto complicato e drammatico ritornare indietro: le scuole non possono sopportare continue variazioni”.
Sindacati e associazioni ricordano anche che “le proposte di razionalizzazione deliberate dai Comuni (o Provincia) debbono essere accompagnate dalle delibere degli organi collegiali delle scuole coinvolte, a dimostrazione che sono stati assunti atti condivisi e non decisioni autoritarie senza il necessario coinvolgimento delle autonomie scolastiche”.
Peraltro la necessità di acquisire il parere delle istituzioni scolastiche sui piani di dimensionamento è prevista anche dal “vecchio” DPR 233 del 1998 tuttora in vigore.
Ed è proprio su questo punto che i piani territoriali potrebbero incagliarsi, perché in molti casi, in Piemonte, le scuole vengono a conoscere le decisioni dei Comuni a cose fatte e senza aver avuto la possibilità di esprimere un parere.
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