La questione del dimensionamento scolastico continua a tenere banco e, nei prossimi mesi, sarà una di quelle su cui si giocherà la credibilità del ministro Valditara che in più circostanze ha ribadito che le misure previste dalla legge di bilancio non provocheranno nessun “terremoto” nel sistema scolastico, ma anzi, in alcuni casi potrebbero essere persino più vantaggiose di quelle in vigore.
Ma PD e sindacati la pensano in modo completamente diverso:
Irene Manzi, responsabile scuola del PD, fa osservare: “Il dimensionamento è stato previsto dalla legge di bilancio del governo Meloni; nel prossimo triennio verrà ridotto l’8,8% delle sedi esistenti; ci saranno pesanti perdite di organico tra il personale Ata con un aumento della complessità organizzativa; le aree più fragili, a partire da quelle interne e dal Mezzogiorno, saranno ulteriormente penalizzate”.
“Il nostro sindacato – afferma per parte sua la segretaria generale di Flc-Cgil Gianna Fracassi – è determinato ad usare tutti gli strumenti, inclusa l’impugnativa legale, per contrastare un disegno che impoverisce la scuola italiana”.
La questione è molto complessa perché si perderà certamente un certo numero di “presidenze”: la perdita sarà particolarmente evidente in alcune regioni dove, negli anni passati, il dimensionamento è stato condotto in modo particolarmente “blando” continuando, per esempio, a mantenere in piedi istituti scolastici anche con numeri inferiori a quelli previsti dalla normativa. In altre regioni, al contrario, il piano previsto dal Ministero non dovrebbe provocare “scossoni” troppo pesanti.
Il meccanismo – spiega in questa intervista il presidente nazionale ANP Antonello Giannelli – dovrebbe responsabilizzare maggiormente le diverse Regioni che sarebbero autonome di decidere come e dove assegnare le presidenze scolastiche.
In pratica – sottolinea il presidente ANP – si potranno avere istituti scolastici autonomi anche con soli 3-400 alunni, purché a livello regionale venga rispettato il tetto massimo deciso dallo Stato.
Resta il fatto che anche questa soluzione sembra poco gradita: diverse Regioni, infatti, hanno già deciso di rivolgersi alla Corte Costituzionale.