Sono un’insegnante di sostegno della scuola secondaria di secondo grado e scrivo per esprimere la massima preoccupazione per la proposta inserita dal MIUR nella bozza del prossimo contratto di mobilità del personale docente e mirante a ridurre al 50 % i trasferimenti da sostegno a materia, che fino a questo momento sono sempre avvenuti sul 100% dei posti disponibili.
Tralasciando la palese illegittimità di un provvedimento del genere – già esplicitata dai sindacati di categoria – vorrei sottolineare le pesanti ricadute che esso produrrebbe sul piano didattico-pedagogico, esasperando il divario, già profondo, tra insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno e accentuando la ghettizzazione di questi ultimi e, conseguentemente, degli alunni diversamente abili, con grave danno alla qualità dell’inclusione.
Stiamo assistendo a un’inquietante deriva pedagogica: la figura dell’insegnante di sostegno, lungi dall’essere motivata, valorizzata ed uniformata quanto più possibile a quella dell’insegnante curricolare, da un lato viene investita di una vocazione equiparabile al sacerdozio (una missione “a senso unico” che trasforma l’inclusione in un “problema” di esclusiva pertinenza dei docenti specializzati), dall’altro viene progressivamente gravata da blocchi, limiti e vincoli che di fatto ne vanificano sia la carica inclusiva sia la spendibilità di tale potenziale nell’ambito delle materie curricolari.
Siamo insomma lontani anni luce dalla scuola aperta e inclusiva auspicata dai più insigni esponenti della scuola italiana di pedagogia speciale – il cui valore è riconosciuto a livello internazionale – come Ianes e Canevaro.
La cronica carenza di insegnanti di sostegno e la mancanza di continuità didattica è imputabile, come sanno bene gli addetti ai lavori, al precariato che affligge tutt’ora il mondo della scuola e, soprattutto, al fatto che il MIUR non attiva ormai da molti anni gli appositi corsi di specializzazione e le relative assunzioni in ruolo, preferendo assegnare supplenze a docenti curricolari non specializzati e umiliando in modo sempre più palese la nostra professione (chi mai vorrebbe diventare insegnante di sostegno sapendo che l’inclusione nella maggior parte dei casi è mera utopia e che si avranno meno libertà e diritti dei colleghi curricolari?).
Pensare di risolvere questo grave problema sulla pelle di chi, dopo aver svolto per molti anni (svariati pre-ruolo e cinque obbligatori di ruolo) tale professione in virtù di una specializzazione, vuole semplicemente operare un cambiamento professionale usando un altro titolo in proprio possesso, arrecherebbe l’ennesimo affondo al già difficile processo di inclusione nelle scuole italiane, oltre ad aggiungere un’ulteriore ingiustizia alle tante che noi insegnanti di sostegno abbiamo dovuto subire e stiamo subendo in questi anni, sia come persone sia come professionisti insieme ai nostri ragazzi speciali.
Lettera firmata
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