I dipendenti pubblici sono sempre di meno e sempre più vecchi. Lo dice la Corte dei Conti all’interno della “Relazione sul costo del lavoro pubblico 2020” approvata dalle Sezioni riunite in sede di controllo dei giudici contabili.
In tutto, stiamo parlando di 3,2 milioni di lavoratori statali: un dato in calo dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Ma la tendenza che più preoccupa è un’altra: quella del trend sull’innalzamento anagrafico, iniziato nel 2010 (quando l’età media era di 43,5 anni) con il blocco del turn over, che nel volgere di pochi anni ha portato l’età media sopra i 50 anni.
Secondo la Corte dei Conti, a determinare questo andamento hanno inciso due importanti fattori: la scarsità di nuovi assunti nel comparto della PA, che in molti casi non ha coperto nemmeno il turn over, ma anche la stretta sull’accesso alla pensione con l’aumento dei requisiti per l’uscita.
Le politiche restrittive sulla spesa messe in atto negli anni della crisi, scrive la magistratura contabile, “hanno generato effetti indiretti sulla qualità complessiva delle risorse umane disponibili” e la prolungata assenza di turn-over (ma non nella scuola) ha “accentuato il gap conoscitivo e professionale tra le competenze teoriche, acquisite nell’iter formativo dalle nuove generazioni, cui per troppo tempo è stato precluso l’accesso al pubblico impiego, e quelle più “statiche” possedute dal personale in servizi”.
Quindi, per la Corte dei Conti, l’invecchiamento del personale ha determinato una resistenza nell’acquisizione delle nuove competenze.
Il dato, comunque, nella scuola non è nuovo. Secondo la Commissione europea, ad esempio, nel 2017 oltre la metà (58%) dei docenti della scuola primaria e secondaria aveva più di 50 anni (contro il 37% nell’Ue) e il 17% superava i 60 anni (contro il 9% nell’Ue).
La percentuale dei docenti prossimi alla pensione è dunque “elevata” e “nei prossimi 15 anni una media di 3,8% docenti all’anno potrebbero ritirarsi”, ha scritto Bruxelles nel rapporto nazionale.
Se si guarda alla composizione di genere il personale pubblico le donne sono in netta prevalenza con il 57% del totale e con picchi nella scuola (79%) , nel servizio sanitario nazionale (67%) e nella carriera penitenziaria (69%).
Specificatamente, la scuola non darà una mano a ridurre l’età media del comparto pubblico. Se dalle Graduatorie ad esaurimento rimane altissima la percentuale di precari storici “anta” che accede al ruolo, pure gli aspiranti del concorso ordinario non sono di certo in prevalenza neo-laureati.
Per il concorso ordinario per la scuola dell’infanzia e per la primaria, le 76.757 domande inoltrate (il 96% dei candidati da donne), appena il 13,9% (pari a 10.683 candidati) ha un’età fino a 30 anni, il 32,4% ha fra i 31 e i 40 anni (24.856), il 41,5% ha un’età fra i 41 e i 50 (31.871), il 12,2% ha più di 50 anni (9.347).
Per la scuola secondaria di primo e secondo grado sono state inoltrate 430.585 domande (il 64% dei candidati sono donne), il 30,4% ha un’età fino a 30 anni (131.040), il 39,2% ha tra i 31 e i 40 (168.857), il 24,1% ha un’età fra i 41 e i 50 (103.804), il 6,2% ha più di 50 anni (26.884).
A pesare non poco sull’età media poco verde è stato anche il lockdown dovuto al coronavirus: con la crisi economica, la cassa integrazione e la perdita di lavoro per tanti liberi professionisti, centinaia di migliaia di lavoratori sono state obbligati, mentre l’Italia si bloccava, a fermarsi. Molti non ce l’hanno fatta più a riprendere.
Ed ora, chi può, tenta la “carta” dell’insegnamento, anche perché mai come oggi il numero di posti disponibili risulta altissimo: quelli vacanti sono oltre 85 mila, poi ci sono altre 92 mila cattedre da considerare come “adeguamento docenti in organico di fatto” e (in prevalenza) deroghe di sostegno (posti liberi ma collocati fino al 30 giugno).
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