Il condizionale sta diventando il modo verbale più in uso per trattare un argomento assai importante, come quello di ridurre di un anno il percorso scolastico, portando il conseguimento del diploma a 18 anni, come avviene in tutta Europa. “Il ministro avrebbe convocato”, “si starebbe discutendo”, “si vorrebbe portare” e così via condizionando, quando invece occorre un dibattito franco e ampio per capire meglio e meglio ragionare per il futuro lavorativo e culturale non solo dei ragazzi ma anche della scuola e dei suoi addetti.
E’ fuori di dubbio che uscire dalla scuola un anno prima con un titolo spendibile nel mondo del lavoro o per continuare all’università è un vantaggio per i giovani, ma anche per le famiglie i cui risparmi sarebbero agevolati. Il problema è capire come si possa intraprendere questa strada senza colpire non solo la qualità, già messa a dura prova, della istruzione italiana, ma anche il posto di lavoro dei docenti, considerato ancora che tutto stia contribuendo a creare il sospetto che questa ventilata riduzione sia rivolta più alla riduzione della chioma, potando e tagliando, che a una nuova rifioritura della pianta.
Qual è allora il problema (e per questo occorre che non ci si riunisca come i carbonari e nel mistero si operi come nelle cospirazioni)?
Si riveda tutto, anche questo riordino ultimo della Gelmini. Si riprenda d’accapo, dall’origine, compresa la possibilità di iniziare la scuola a cinque anni.
Si formuli una vera e robusta riforma della scuola, senza accomodamenti e aggiustamenti o colpi di cacciavite e tenaglie.
E soprattutto si esca dai labirinti ideologici dentro cui ci si insegue da decenni, senza trovare una via di uscita onorevole, dignitosa e sicura per tutti.
E soprattutto ancora non ci facciano rimpiangere Giovanni Gentile il cui spettro si aggira ancora sugli spalti di questo castello mezzo sgarrupato della scuola, mentre il marcio di Amleto si fa sempre più strada.