Abbreviare di un anno il percorso formativo degli studenti italiani non è una idea particolarmente nuova, tutt’altro.
Se ne era parlato già quindici anni fa e il dibattito politico e pedagogico aveva portato alla approvazione della legge n. 30 del marzo 2000 fortemente voluta dal ministro Luigi Berlinguer.
La proposta contenuta nel provvedimento, che si presentava come una legge-quadro che avrebbe dovuto essere precisata con ulteriori regolamenti, era relativamente semplice e lineare: un primo ciclo di 7 anni seguito da un secondo ciclo articolato in un biennio comune e in un triennio specifico per i diversi indirizzi.
Contestualmente la legge prevedeva l’obbligo scolastico a 15 anni e cioè, in pratica, al termine del biennio comune.
Come sia andata a finire è cosa risaputa: l’anno successivo ci fu un cambio di maggioranza e il nuovo Governo Berlusconi fece quello che aveva annunciato in campagna elettorale e cioè bloccò la “riforma dei cicli” di Berlinguer.
Riforma che venne definitivamente abrogata nel 2003 con l’approvazione della legge 53 (la cosiddetta “Riforma Moratti”).
Nella soluzione proposta da Berlinguer l’anno di scuola in meno si sarebbe dovuto ricavare da una riduzione della durata del primo ciclo, mentre secondo l’ipotesi del comitato tecnico voluto dal ministro Profumo la riduzione dovrebbe riguardare il secondo ciclo che verrebbe accorciato di un anno.
Entrambe le ipotesi presentano aspetti positivi e negativi ed è difficile prevedere ora quale delle due, alla fine, potrebbe prevalere.
Un dato è certo: in ogni caso i sindacati faranno di tutto per contrastare l’una e l’altra soluzione dal momento che in entrambi i casi la riforma si tradurrebbe in circa 50mila cattedre in meno.
D’altronde sono lontani i tempi della riforma dei cicli di Berlinguer che potè contare se non sul sostegno almeno sulla “neutralità” della Cgil che, all’epoca, non si oppose all’ipotesi di ridurre a 7 gli anni del primo ciclo di istruzione.
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