In attesa di conoscere il testo definitivo dell’articolo 4 del “Decreto dignità” all’esame della Camera in questi giorni possiamo fare alcune considerazioni di massima.
Al momento attuale l’articolo in questione risulta integrato dall’emendamento 4.24 approvato in Commissione Lavoro nella giornata del 25 luglio.
In estrema sintesi la soluzione che si prospetta per i diplomati magistrale è quella di passare attraverso un concorso straordinario che dovrà essere bandito dal Ministero in tempi rapidi.
Ovviamente, però, l’intera procedura richiederà del tempo e non potrà dare risultati concreti prima dell’anno scolastico 2019/2020 (nella migliore delle ipotesi).
E allora cosa succederà il prossimo mese di settembre ai docenti coinvolti dalla sentenza del Consiglio di Stato?
L’emendamento dice che i docenti già immessi in ruolo quest’anno, per il 2018/19 avranno un contratto a tempo determinato che cesserà però il 30 giugno 2019 e non il 31 agosto.
Per i docenti che hanno già avuto contratti a tempo determinato per due anni non sono più previsti contratti fino al 31 agosto ma solo fino al 30 giugno.
Con questa soluzione il Governo ritiene di “salvare capra e cavoli” rispettando cioè contemporaneamente la sentenza del Consiglio di Stato e quella della Corte di Giustizia europea.
Il fatto però è che alcune migliaia di docenti che già avevano stipulato un contratto a tempo indeterminato e che avevano addirittura superato l’anno di prova a settembre prossimo saranno “retrocessi” ad un incarico annuale che scadrà il 30 giugno.
Va subito detto, però, che, per ottenere questo risultato, sarà assolutamente necessario che il Ministero impartisca istruzioni precise agli Uffici regionali: per garantire a questi docenti una supplenza fino al 30 giugno bisognerà che al momento delle nuove immissioni in ruolo venga accantonato un numero di posti adeguato da attribuire ai DM: in caso contrario potrebbe accadere che, soprattutto nelle province con organici più ridotti, non si riesca a dare un posto a tutti.
E non c’è neppure la certezza che i docenti già immessi in ruolo e coinvolti dalla sentenza del Consiglio di Stato possano essere confermati nelle sedi dove hanno prestato servizio quest’anno: con buona pace della continuità didattica che, sulla carta, il decreto dignità vorrebbe garantire.
Rispetto agli annunci di qualche settimana fa quando diversi esponenti della maggioranza di Governo affermavano che il problema dei DM sarebbe stato risolto soddisfacendo le richieste di tutti, la soluzione che ora viene prospettata appare decisamente modesta.
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