Ennesima doccia fredda sui diplomati magistrale dopo il deposito delle due sentenze (n.4/2019 e n.5/2019) con cui l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in esito all’udienza pubblica tenutasi lo scorso 20 febbraio, ha confermato i capisaldi della precedente sentenza del 20 dicembre 2017.
Dopo la nuova rimessione innanzi al massimo consesso della Giustizia amministrativa da parte del Presidente della VI sezione che, con ordinanza del 4 dicembre, aveva ampiamente argomentato circa la necessità di un riesame dei principi espressi con la sentenza 11/2017, si era aperto un piccolo spiraglio che teneva ancora vive le speranze dei diplomati magistrale per l’accesso definitivo nelle Gae.
Tuttavia, il Collegio presieduto dal Presidente Filippo Patroni Griffi, in maniera alquanto lapidaria, ha scolpito, marcandone ancor più la gravità, i principi di diritto già enunciati con la precedente sentenza.
I punti cardine della nuova pronuncia sono quattro:
– i decreti di aggiornamento delle graduatorie (in particolare del d.m. n. 235 del 2014), non hanno natura normativa né possono qualificarsi quale atto amministrativo generale; rivolgendosi a destinatari già noti al momento dell’adozione, ovvero tutti coloro e solo coloro che sono già inseriti nelle GAE, i decreti di aggiornamento sono quindi atti amministrativi che si rivolgono ad un gruppo delimitato di soggetti, qualificabili quindi quali atti amministrativi “collettivi”;
– conseguenza della predetta natura dei DM di aggiornamento è che l’annullamento del DM 235/2014 disposto dal Consiglio di Stato con sentenza 1973/2015, non può avere efficacia generale (“erga omnes”), bensì limitata ai soli ricorrenti;
– il diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 non ha valore abilitante, in quanto allo stesso viene riconosciuto valore legale solo in via “strumentale”, nel senso, di consentire a coloro che lo hanno conseguito di partecipare alle sessioni di abilitazioni o ai concorsi pur se privi del diploma di laurea in scienze della formazione;
– non è invocabile l’istituto del “prospective overruling”, ossia la possibilità di applicare i principi enunciati nella sentenza 11/2017 ai soli ricorsi depositati dopo il 20.12.2017.
Quattro argomenti, quelli utilizzati dall’Adunanza plenaria, che potrebbero chiudere la partita, sebbene il prossimo 12 maggio saranno chiamate anche le Sezioni unite della Corte di Cassazione ad esprimersi sul caso.
Avverso la sentenza dell’Adunanza plenaria del 20.12.2017 era stato infatti proposto un ricorso innanzi le Sezioni unite della Corte di Cassazione, essendosi rilevato un eccesso di potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato.
Di certo, in mancanza di una seria presa di posizione da parte della politica, del tutto colpevolmente assente sino ad ora, la strada si presenta particolarmente complicata ed in caso di esito negativo anche in Cassazione, le ricadute occupazionali saranno veramente drammatiche per migliaia di famiglie.
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