Negli ultimi dieci giorni abbiamo assistito commenti e reazioni svariate sulla sentenza della sessione plenaria del Consiglio di Stato, che smentendo parzialmente l’organo di cui è la massima rappresentanza ha riconosciuto il valore abilitante del diploma solo al fine della partecipazione ai concorsi.
Sinora, però, nessun sindacato se l’era mai presa, sempre per giustificare l’esito negativo del maxi-ricorso, contro quei sindacati che hanno patrocinato l’impugnazione in tribunale.
A farlo è stato l’Usb Scuola, che nel chiedere una “soluzione politica e collettiva per i diplomati magistrali”, si scaglia contro quei sindacati che “hanno indetto mobilitazioni in varie città italiane per l’8 gennaio a sostegno della lotta di questi docenti che vedono messo a repentaglio il loro posto di lavoro”.
“Tra questi sindacati – prosegue l’Usb – la fanno da padroni proprio quelli che hanno promosso i ricorsi che hanno poi avuto esito tanto negativo e che attraverso questi ricorsi hanno guadagnato somme anche ingenti (oltre che iscritti) senza che a queste azioni giudiziali abbia mai fatto fronte alcun tipo di lotta reale e di azione e rivendicazione sindacale concreta”.
Quello che non va giù al sindacato di base è il fatto che certe diatribe interne alla scuola “solo in casi estremi dovrebbero risolversi con la via giudiziale”.
Secondo Luigi Del Prete, dirigente USB Scuola, anche la parte pubblica ha comunque le sue responsabilità: “Lo stesso Stato che ha emesso una sentenza così negativa a sfavore dei lavoratori, è quello che ha prodotto negli anni una legislazione talmente mal congegnata da consentire la politica dei ricorsi, coi risultati che tutti abbiamo sotto gli occhi”.
Sempre Del Prete, però, torna a puntare il dito sui sindacati della scuola “È importante aver chiaro che senza questi ricorsi, oggi sarebbe prevista una fase transitoria per i diplomati magistrali e per i laureati in Scienze della Formazione Primaria, come per i docenti delle secondarie di primo e secondo grado inseriti in seconda fascia e con 36 mesi di servizio, che consentirebbe loro un accesso agevolato al ruolo”.
Ruoli che soprattutto nella primaria e soprattutto nelle regioni del Nord ci sono, come mostra la cronica carenza di insegnanti che occupa le pagine dei giornali ad inizio anno scolastico.
“Crediamo sia essenziale non alimentare false speranze e porre fine a questa tendenza ad affidarsi alla soluzione giudiziale con un ricorso alla Corte Europea, processo lunghissimo che non può in alcun modo garantire una soluzione immediata della vicenda che è invece centrale in questo caso”, dichiara Del Prete.
“La verità è che questa vicenda così intricata, complessa e dagli esiti nefasti è il frutto di un modello sindacale che alimenta la guerra tra poveri e la convinzione che la sola via di risoluzione delle problematiche sia quella della vertenza singola, sul proprio caso specifico. Questo, secondo noi, è esattamente il contrario di ciò che un sindacato e una categoria di lavoratori devono fare. Le soluzioni possono e devono essere collettive, unendo le rivendicazioni di tutti quei lavoratori che da decenni tengono in piedi la scuola italiana in condizioni di estrema precarietà. La soluzione, lo abbiamo sostenuto e rivendicato più volte è l’immissione in ruolo di quei lavoratori della scuola che hanno 36 mesi di servizio, siano essi diplomati magistrali, laureati in Scienze della Formazione Primaria, abilitati TFA, o PAS e la definizione chiara di un percorso di accesso al ruolo che tenga conto dei titoli e degli anni di esperienza”, conclude Del Prete.
Non intendiamo commentare la presa di posizione della Usb Scuola, ma solo ricordare che a patrocinare i ricorsi per la stabilizzazione dei diplomati magistrale sono stati diversi sindacati, tra cui anche alcuni rappresentativi. È possibile che tutti abbiano sbagliato percorso? Dinanzi all’esclusione di diplomati magistrale dalle GaE, si sarebbero dovuti forse sostituire al legislatore?
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