Perché non basta il diploma magistrale per insegnare ai bambini fra i tre e gli undici anni? Il tema è diventato la prima notizia del quotidiano “Libero” del 27 aprile. Con tanto di editoriale del direttore Vittorio Feltri. Che si schiera a spada tratta con i maestri che ora rischiano davvero di lasciare le GaE e l’approdo al ruolo, per via della decisione ultima del Consiglio di Stato di fine 2017.
La legge, tuttavia, parla chiaro, anche per adeguare l’Italia alle condizioni di insegnamento dei Paesi più moderni: da una decina d’anni, in base all’articolo 6 della Legge 169/2008, il titolo di studio accademico è diventato indispensabile anche per insegnare nella scuola primaria e dell’infanzia. Serve, nella fattispecie, la laurea in Scienze della formazione primaria. E se non c’è, ha ribadito il Consiglio di Stato negli ultimi mesi del 2017, di entrare in ruolo non se ne parla.
Per renderci conto che il “vento è cambiato”, di recente – con il Piano nazionale pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione da 0 a 6 anni approvato fine 2017 – la laurea è divenuta titolo necessario anche per gli educatori degli asili-nido.
Il problema, però, è che la sentenza dell’adunanza plenaria del 20 dicembre scorso riguarda docenti che si sono diplomati molto tempo fa, fino al 2002, quando il diploma magistrale era per “eccellenza” il titolo di accesso alla qualifica di maestro.
Feltri è un fiume in piena, si rivolge a quelli che “si sono dimenticati che Edmondo De Amicis scrisse Cuore basandosi sulle esperienze degli educatori di base, che Mussolini non era laureato, che Eugenio Montale era ragioniere come Enzo Biagi, che Guglielmo Marconi non era neanche diplomato e ciononostante con le sue scoperte cambiò il mondo, che Grazia Deledda e Salvatore Quasimodo – Nobel – non frequentarono l’Università così come Gabriele D’Annunzio e Benedetto Croce”.
Per il giornalista “non sono quisquilie bensì notizie che non andrebbero sottovalutate. Ora si pretende che i maestri siano accademici e viene da ridere anzi da piangere”.
Poi arriva l’affondo, verso il titolare del Miur: “Soprattutto se si pensa che l’attuale ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, non ha titoli di studio, si rimane storditi e increduli. Una con la terza media può dirigere la rete educativa nazionale, mentre una maestra non ha diritto a prendersi cura di fanciulli di sei o sette anni? Siamo alle comiche finali”.
“Sfugge il motivo per cui sia necessario essere dottori allo scopo di prendere per mano l’infanzia quando per secoli i vecchi insegnanti hanno allevato la nostra e le precedenti generazioni. Infine è una aberrazione il fatto che si buttino sulla strada migliaia di persone perbene, distintesi per aver fatto il loro dovere”, conclude Feltri.
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